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Globesity: la piaga mondiale dell’obesità - Parte II

In Obesity Words Do Matter: il “peso” delle parole per affrontare correttamente la piaga dell’obesità

 
     
 

Elisabetta Verardi - Traduttrice e Interprete freelance, Associata AITI

 
     
     
 

Il fenomeno della Globesity quale vera e propria «global pandemic disease» [1] è stato ampiamente trattato nell’articolo pubblicato in precedenza [2]. La stessa delicata tematica, oltre che dal punto di vista meramente scientifico, offre interessanti spunti di riflessione anche in ambito linguistico e terminologico.

La diffusione dell’obesità nei vari Paesi, specie per quel che concerne le fasce di età più giovani, non è facilmente quantificabile: di conseguenza è oramai costante il binomio obesità-adolescenza [3]. Pur potendosi avvalere di affidabili studi epidemiologici, l’elaborare comparazioni e ottenere dati oggettivi risulta complesso in quanto la terminologia e le definizioni utilizzate per definire i soggetti obesi o in sovrappeso differiscono da Paese a Paese.

Per ovviare a questo problema, l’International Obesity Task Force ha messo a punto una serie di valori condivisi che consentono una più omogenea classificazione del peso corporeo [4]. Oltre a una questione di carattere “tecnico”, se così possiamo definirla, ovvero l’individuazione dei parametri che consentono di poter parlare di reali condizioni di obesità, vi è un problema ancor più profondo e delicato, legato alla sfera dell’emotività e al corretto rapporto con gli individui affetti da tale condizione.

La domanda che ci si deve porre, specie nel rapporto con i soggetti più giovani e quindi maggiormente vulnerabili, è perfettamente riassunta nel titolo di un articolo: “Childhood Obesity: Are We All Speaking the Same Language? [5]. Scegliere le parole appropriate per affrontare il problema del sovrappeso con un bambino o un adolescente non è facile né per i genitori né per gli operatori sanitari e i medici coinvolti. Molto spesso, in termini linguistici, ci si trova di fronte ad una vera e propria «Towering Babel», ovvero «a confusing muddle of vastly different conceptual frameworks» [6].

Il sovrappeso e l’obesità sono certamente condizioni difficili per qualsiasi individuo: tra bambini e adolescenti non rappresentano solamente un fattore di rischio per la salute, ma talvolta anche, e soprattutto, un fattore di emarginazione sociale. Anche tra individui di giovanissima età vi è, seppur a livello inconscio, una chiara correlazione tra sovrappeso e il concetto, anche se vago, di negatività e di condizione discriminante e limitante.

How we start being ‘fattist’ at four: Study finds children would not think of overweight person as a potential friend è il titolo di un recente studio condotto dai ricercatori dell’Università di Leeds su 126 bambini e bambine di circa 4 anni [7]. Ai bambini è stata narrata la storia di Alfie, dei suoi amici e del loro gattino Toby. La storia è stata elaborata in tre differenti versioni che vedono come protagonista Normal weight Alfie, Fat Alfie e Wheelchair Alfie. I piccoli coinvolti hanno chiaramente espresso il desiderio di diventare amici di Normal Weight Alfie e di Wheelchair Alfie, senza essere quindi minimamente influenzati dal concetto di disabilità, ma considerano Fat Alfie «less likely to win a race, do well at school, be happy with his looks and get invited to parties» [8].

Sebbene i soggetti coinvolti siano così giovani, il fattism, ovvero «discrimination on the basis of weight» [9], è evidente e rappresenta un fenomeno grave, esattamente come tutte le altre forme di discriminazione. L’approccio discriminatorio e lesivo, anche in termini verbali, nei confronti delle persone in sovrappeso è altresì noto come weightism, weight stigma [10] o weight bias ovvero «judgment and biases predetermined by weight, body size, lifestyle» [11].

But are “obese” or “overweight” to be considered bad words? [12] Secondo un recente studio pubblicato sulla rivista scientifica Pediatric Obesity [13], da un’indagine condotta tra genitori di bambini sovrappeso è emerso che mamme e papà, ovviamente, non gradiscono che i propri figli vengano definiti fat o chubby e non ammettono l’uso di espressioni quali large size o heaviness. Stranamente, però, non accettano nemmeno i termini obese o overweight, seppur appartenenti al più corretto medical jargon. Secondo gli intervistati, i medici stessi dovrebbero abbandonare il linguaggio tecnico e optare per definizioni più “morbide”, quali individual gaining too much weight, excessive body weight o unhealthy body weight, che risultano accettate di buon grado anche dai pazienti.

Sono molteplici le voci autorevoli che hanno invocato l’uso di un weight-neutral language [14] per trattare la tematica dell’obesità. È fuor di dubbio che l’uso di espressioni e di una terminologia troppo dirette possono urtare la sensibilità e ledere l’autostima, ed è evidente la necessità di diventare maggiormente culturally sensitive; è tuttavia altrettanto doveroso inviare un messaggio inequivocabile, consapevoli che l’obesità rappresenta un serio fattore di rischio da non sottovalutare.

Come affermano gli stessi medici ed esperti, la linea tra «cautious communication and sugar-coating important truths» [15] è molto sottile. Tutte le linee guida che trattano la gestione dell’obesità, specie nei bambini e negli adolescenti, sono orientate a un sensitized vocabulary, ma non si deve dimenticare che, come definito dall’American Medical Association [16], l’obesità è una malattia [17] vera e propria il cui impatto, in termini di conseguenze sulla salute, non è diverso da quello rappresento da patologie, e conseguentemente da parole “ingombranti” quali “cancro” o “sclerosi multipla”, che non vengono in alcun modo filtrate o “ammorbidite”.

Dunque, quale approccio adottare? Ciò che assolutamente si deve evitare, per l’obesità come per tutte le altre malattie, è labelling an individual with his/her disease [18]. Ogni volta che la stampa e i mezzi di comunicazione in generale, utilizzano il termine ‘obeso/obesa’, come afferma l’Obesity Action Coalition [19], che da anni si batte per la lotta al weight stigma, “disumanizzano” l’individuo. È fondamentale essere in grado di percepire la notevole differenza tra le definizioni “The woman was affected by obesity e The woman was obese”: nel primo caso l’uso del People-first-language, definito come «use of words about people with disabilities that define the person first, not the disability» [20], minimizza la condizione di individuo obeso enfatizzando il concetto di donna e di essere umano. L’espressione People-first-language è stata utilizzata per la prima volta nel 1988 negli Stati Uniti [21] e da allora il suo uso è stato applicato a tutte le forme di disabilità.

Associare il concetto di disabilità a quello di obesità richiederà forse ancora tempo, ma abituarsi a mettere l’individuo e la sua sensibilità al centro di tutto è certamente un passo necessario.

 

Sitografia

http://advances.nutrition.org/

http://www.ama-assn.org/ama

http://www.bbc.co.uk/

http://bedaonline.com/

http://www.capdi.it/

http://www.dailymail.co.uk/home/index.html

http://www.directionservice.org/

http://www.disabilityisnatural.com/explore/people-first-language

http://www.englishfor.it

http://en.wikipedia.org/

http://www.eufic.org/article/it/page/FTARCHIVE/artid/sovrapeso-infanzia-adolescenza-problematiche/

http://www.familytofamilynetwork.org/parent-resources/people-first-language

http://www.hsph.harvard.edu/obesity-prevention-source/obesity-definition/defining-childhood-obesity/

http://www.iaso.org/iotf/mediaiotf/

http://imagazine.ima.it/

http://news.nationalpost.com/2012/01/14/fat-obese-and-other-dirty-words-for-weight-problems/

http://www.obesityaction.org/

http://www.oncentral.org/

http://onlinelibrary.wiley.com/doi/

http://www.psychologytoday.com/

http://www.sanihelp.it/news/17612/peso-parole-fatto-obesit/1.html

http://www.thefreedictionary.com/

http://www.thelancet.com/

http://theweek.com/

 
 
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[1] http://www.psychologytoday.com/blog/the-gravity-weight/201207/fatal-flaws-determining-who-is-overweight-and-who-is-obese; www.thelancet.com/series/obesity

[2] Verardi, E., “Globesity: la piaga mondiale dell’obesità – Parte I”, Englishfor, La Rivista dell’Inglese per Scopi Speciali, n. 1/2012, http://www.englishfor.it/rivista_articolo3_1_12.asp

[3] http://imagazine.ima.it/Rubrica/IT/Rubriche-F555/-S561/Page_block-P/Adolescenza_e_obesit%C3%A0%3A_un_binomio_ricorrente-A271.html#.UezSW6z_ipo

[4] http://www.capdi.it/A_pubb/Rubriche/sanita%27/rapporto_iotf.htm

[5] http://advances.nutrition.org/content/2/2/159S.full

[6] http://www.psychologytoday.com/blog/the-gravity-weight/201209/towering-babel-structural-frameworks-weight

[8] Ibidem.

[10] www.obesityaction.org

[11] http://bedaonline.com/wp-content/uploads/What-is-Weight-Stigma.pdf

[13] http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/j.2047-6310.2012.00029.x/full

[14] http://www.bbc.co.uk/news/magazine-18262887

[15] http://www.oncentral.org/news/2012/07/31/doctors-need-watch-their-language-when-it-comes-ob/

[16] http://www.ama-assn.org/ama

[17] http://theweek.com/article/index/245886/why-labeling-obesity-as-a-disease-matters

[18] http://www.obesityaction.org/weight-bias-and-stigma/people-first-language-for-obesity

[19] Cfr nota 9.

[21] BusinessWeek (letter to the editor), Issues 3059–3062, 1988; «All references to ‘handicapped individuals’ in the Act must be changed to ‘people with disabilities’ – We join with many of our fellow advocacy organizations in emphasizing the importance of using ‘people first’ language throughout the Act.». Fonte: http://en.wikipedia.org/wiki/People-first_language.

 
     
 
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