|
L’iniziale
percezione del trust come strumento illecito al quale ricorrere per costruire
meccanismi complessi che consentano di evadere o eludere le imposte, o ancora di
ottenere illeciti vantaggi di natura fiscale, è rimasta radicata a lungo, ben
dopo la ratifica della Convenzione dell’Aja del primo luglio 1985 in Italia (L.
16.10.1989 n. 364). Oggi, tuttavia, la situazione sta mutando e al traduttore si
richiede particolare attenzione onde evitare di incappare in spiacevoli errori
interpretativi.
Innanzitutto,
la dottrina ci offre uno spunto di riflessione interessante, giacché sostiene
che alla dicitura trust al singolare sia da preferirsi la forma plurale per non
escludere la natura polimorfica[1]
di questo istituto sconosciuto agli ordinamenti di
civil law. D’altro canto è la succitata Convenzione dell’Aja a individuare la figura del
cosiddetto ‘trust amorfo’ (shapeless trust) – un modello generale e astratto a cui è possibile ricondurre anche i
trust istituiti nell’ambito degli ordinamenti di
civil law – e pertanto l’uso del
singolare è da ritenersi accettabile.
Ci si chiede
quindi se sia necessario proporre un traducente per trust, ma la risposta deve
essere negativa[2], proprio perché nessuna delle
strutture, degli schemi di proprietà riconosciuti dal diritto italiano racchiude
perfettamente in sé tutte le caratteristiche del trust, pertanto trust rimane
‘trust’ e non deve essere tradotto con ‘amministrazione fiduciaria’ o con
‘proprietà fiduciaria’ né con alcuna altra locuzione, come peraltro dimostrano i
documenti di ratifica della Convenzione[3].
A titolo
informativo, si ricorda che è assolutamente da evitare il termine ‘contratto’
associato a trust, che non è affatto una forma contrattuale, quanto piuttosto un
fatto giuridico, che non necessita del requisito fondamentale dei contratti di
diritto anglosassone che si esplicita nella
consideration.
Ciò premesso,
passiamo ora a occuparci degli aspetti squisitamente linguistici di questo
istituto, basando la nostra analisi anche su una comparazione tra la versione
inglese del testo della relativa Convenzione, la ratifica della stessa
pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale e la traduzione proposta dall’Associazione
“Il trust in Italia”. Per comodità, nelle tabelle comparative indicheremo con
‘R’ la traduzione adottata nel documento di ratifica e ‘TP’ la traduzione
proposta dalla summenzionata Associazione.
Article 2
For the
purposes of this Convention, the term “trust” refers to the legal relationship
created --
inter vivos or on death -- by a person, the settlor,
when assets have been placed under the control of a trustee for the benefit of a
beneficiary or for a specified purpose.
|
R – Articolo 2
Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i rapporti giuridici
istituiti da una persona, il costituente
con atto tra vivi o mortis causa –
qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee
nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.
|
TP – Articolo 2
Ai fini della presente Convenzione, per trust s’intendono i rapporti giuridici
istituiti da una persona, il disponente
– con atto tra vivi o mortis causa –
qualora dei beni siano stati posti sotto il controllo di un trustee
nell’interesse di un beneficiario o per un fine determinato.
|
Da questa
prima definizione emergono subito i tre soggetti protagonisti del trust e una
prima, significativa, divergenza tra le due traduzioni a supporto della nostra
analisi. Proprio alla luce delle caratteristiche distintive del trust, si è
ritenuto, infatti, che sia da preferire l’utilizzo della parola ‘disponente’
invece di ‘costituente’ con riferimento all’atto di disposizione che di fatto
costituisce il fondamento del trust e con cui il disponente si spossessa dei
beni. Dunque, di solito, avremo un ‘disponente’ (settlor), almeno un ‘beneficiario’ (beneficiary) e un ‘trustee’ (trustee), e non già un amministratore
fiduciario. A tale proposito pare comunemente accettata anche la traduzione
‘gestore’[4], riconducendosi appunto alla
dicotomia che vige rispetto ai beni in trust tra l’amministrazione e la
‘gestione’ (management) e il
‘godimento’ (enjoyment). Nei testi
anglosassoni potremmo altresì ritrovare due termini di chiara origine medievale,
ossia cestui que use per trustee e
cestui que trust per
beneficiary (anche nella grafia
cestuy).
Ricordiamo
altresì che il beneficiario potrebbe non essere previsto in tipologie specifiche
di trust quali il cosiddetto charitable
trust, caratterizzato espressamente dall’assenza di un beneficiario
dichiarato e costituito a fini di beneficenza o per scopi strettamente
caritatevoli. Nonostante questa peculiarità, tuttavia, il suddetto trust non
rientra nella macro categoria dei purpose
trust, i ‘trust di scopo’, la cui legittimità è riconosciuta solo in
determinate giurisdizioni, proprio per la mancanza del requisito di identità o
identificabilità del beneficiario, l’unico in grado di dare esecuzione alle
obbligazioni assunte dal trustee (la cosiddetta
enforceability). Per risolvere questo problema, sempre e solo in talune giurisdizioni,
si è creata una nuova figura, l’enforcer, ossia l’‘esecutore’, che deve obbligatoriamente essere prevista nell’atto
istitutivo. Da trustee possono fungere anche dei soggetti appositamente creati a
tal fine, quali la trust corporation o
trust company, ossia una società
fiduciaria che ha per oggetto della propria attività sociale o commerciale
proprio la gestione dei trust e il public trustee, un organo o funzionario pubblico precostituito per fungere da trustee,
da non confondere con l’amministratore fiduciario pubblico (sempre denominato
public trustee) di diritto
australiano, dalle funzioni ben diverse.
In ultimo,
sempre a proposito dei tre soggetti principali del trust, giova ricordare che
nella cosiddetta declaration of trust,
ossia nel ‘trust autodichiarato’, il disponente e il trustee coincidono,
pertanto non vi sarà trasferimento di beni, ma i beni in trust rimarranno di
proprietà del disponente, sebbene soggetti al vincolo di destinazione che
caratterizza l’istituto in oggetto.
Comparando le
due traduzioni dell’articolo 2, emerge anche una differenza nella traduzione di
trust assets, che sulla G.U. viene
reso come ‘i beni del trust’, mentre nella proposta dell’Associazione diviene ‘i
beni in trust’, scelta motivata dal fatto che il trust non è una persona
giuridica e che pare confermata dalla formula tipica ‘costituire in trust’
riferita per l’appunto ai beni oggetto dell’atto di disposizione.
Article 2
the assets
constitute a separate fund and are not a part of the trustee’s own estate;
|
R – Articolo 2
i beni del trust costituiscono una
massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee;
|
TP – Articolo 2
i beni in trust costituiscono una
massa distinta e non sono parte del patrimonio del trustee;
|
La traduzione
più autorevole di separate fund, come
dimostrano entrambe le citazioni, è senz’altro ‘massa distinta’, riferendosi al
concetto che i beni in trust sono segregati, dove per ‘segregazione’ si
intendono «posizioni soggettive le quali appartengono a un soggetto (il
trustee), ma rimangono distinte e non si confondono con le vicende obbligatorie
generali e quindi non possono essere oggetto delle pretese dei suoi creditori.
Tale patrimonio non segue alla sua morte le regole della successione ereditaria
tanto meno risente del regime matrimoniale»[5]. In inglese questa idea di
segregare, contrassegnare, viene talvolta resa facendo ricorso alla parola
earmarking.
Per il trust
ci si riferisce al concetto di split
ownership o dual ownership, di
‘proprietà divisa’ o addirittura di ‘sdoppiamento della proprietà’. Si avrà
dunque la cosiddetta legal estate (o
trust ownership) in capo al trustee, ossia la ‘proprietà legale’, detta anche formale o
nominale, contrapposta alla equitable estate o beneficial ownership,
ovvero la ‘proprietà sostanziale’, che spetta sempre al beneficiario. Si ricorda
che la proprietà formale del trust è temporanea e destinata a riunirsi a quella
sostanziale del beneficiario che è perpetua[6]. Talvolta è prevista anche la figura
del protector, da tradursi come
‘guardiano’, una persona fisica o giuridica con funzioni di vigilanza e di
controllo sull’effettiva applicazione di quanto disposto nel
deed of trust o
trust deed, ovvero nell’‘atto istitutivo del trust’, traducibile anche come ‘accordo di
trust’. Accanto all’atto istitutivo, in particolare nel caso di un
discretionary trust, ossia un ‘trust
discrezionale’, possono coesistere una o più
letters of wishes (per cui si è consolidata la traduzione di ‘lettere dei desideri’)
contenenti alcune precise direttive in materia di gestione del trust impartite
dal disponente.
In caso di
disposizione dei beni in trust da parte del trustee in violazione dell’atto
istitutivo, i beneficiari godono del
tracing right, ossia di un ‘diritto di sequela’, che può essere fatto valere
nei confronti di tutti i terzi, a esclusione del cosiddetto
bona fide purchaser for value, spesso
indicato in sigla come BFP, ossia il ‘terzo acquirente di buona fede a titolo
oneroso’ (o dietro corrispettivo). Si tratta in sostanza della possibilità di
rivendicare (recover) i beni in trust illegittimamente sottratti o venduti dal trustee. Tra gli altri
rimedi posti a tutela del beneficiario troviamo il
constructive trust e che si pone in
essere ex lege nel caso in cui chi
detiene i beni in trust non sia il trustee, ma un soggetto terzo che li detiene
con la consapevolezza di tale destinazione.
Quando il
disponente assume un comportamento illecito nei confronti del trustee, ovvero
finge solamente di spogliarsi dei propri beni, ma in realtà non trasferisce
nulla al trustee, conservando l’effettivo controllo sugli stessi, si ha uno
sham trust, un ‘trust simulato o fittizio’, da considerarsi nullo.
Interessante
a questo proposito notare come nell’isola di Jersey, luogo di elezione principe
di molti trust, nella rassegna legale, ci si sia preoccupati del legame tra
l’aspetto linguistico, esplicitato nella difficoltà di comprendere un idioma
straniero, e la natura fittizia del trust risolvendo la questione come segue[7]:
«There is no sham if only the settlor has a subjective
intention to create a sham but, due for example to linguistic difficulties in
the dealings between the foreign settlor and the trustee, the trustee reasonably
believes that it is to be trustee of a true trust.»
Sempre a
livello terminologico, osserviamo, oltre a quanto già sottolineato in
precedenza, che il termine situs ha
assunto nel tempo la traduzione di ‘ubicazione’, da preferire al termine
‘situazione’ scelto per la versione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale.
Article 7
In ascertaining
the law with which a trust is most closely connected reference shall be made in
particular to –
a) the place of
administration of the trust designated by the settlor;
b) the situs of the assets of the trust;
|
R – Articolo 7
Per determinare la legge con cui un trust ha più stretti legami si tiene conto
in particolare:
a) del luogo di amministrazione del trust designato dal costituente;
b) della situazione dei beni del
trust;
|
TP – Articolo 7
Per determinare la legge con la quale il trust ha collegamenti più stretti, si
fa riferimento in particolare:
a) al luogo di amministrazione del trust designato dal disponente;
b) alla ubicazione dei beni in trust;
|
Altro
elemento degno di rilievo per i traduttori è
recognition, così si intitola il
Capitolo III della Convenzione, da tradursi letteralmente come ‘riconoscimento’,
anche se secondo taluni giuristi sarebbe più corretto utilizzare un’espressione
che indichi l’obbligo in capo al giudice del foro competente di applicare il
diritto estero, laddove non si tratti di un trust domestico o trust interno,
ossia del rapporto giuridico, avente forma di trust, posto in essere da
cittadini italiani residenti in Italia sui beni situati in Italia e a favore di
soggetti beneficiari italiani.
Recentemente,
il trust ha conosciuto una certa notorietà sulle pagine della stampa, nella sua
forma di trust mortis causa, detto
anche ‘trust testamentario’ (testamentary
trust), creato per l’appunto con una disposizione testamentaria e che
produce i suoi effetti dal momento dell’apertura della successione. In questo
caso bisognerà prestare la massima attenzione a non tradurre
beneficiary come ‘erede’, giacché la posizione giuridica implicata è nettamente diversa.
Sempre in ambito successorio si ritrova l’executor
trustee, non già un semplice esecutore testamentario, ma un trustee che
diviene proprietario dei beni con l’obbligo di adempiere a quanto indicato nel
testamento e che nella giurisprudenza italiana viene indicato o con il termine
inglese originale oppure ricorrendo alla formula ‘il trustee quale esecutore
testamentario’.
Il trust
assume innumerevoli forme e denominazioni, per cui talvolta non esistono
traduzioni univoche o consolidate in lingua italiana, ma di cui cercheremo nel
prosieguo di riassumere alcune delle caratteristiche salienti.
Esiste
innanzitutto l’express trust, ossia il
‘trust esplicito’ o ancora ‘trust espressamente istituito’, che non equivale
alla categoria di trust volontario riportata nella Convenzione. Taluni giuristi
si riferiscono a questa fattispecie utilizzando l’aggettivo ‘rigoroso’. Questo
trust espressamente costituito dal disponente si contrappone al già citato
constructive
trust, tradotto talvolta come ‘trust presunto’, e al
resulting trust, che in italiano va
sotto il nome di ‘trust di ritorno o residuale’, che si configura come una sorta
di finzione giuridica, disposta dal giudice con sentenza o che insorge ai sensi
di legge, laddove esista un rapporto caratterizzato da diritti e doveri analoghi
a quelli del trust, senza che però sia fatto esplicito riferimento a detto
istituto (mancando ad esempio la formula classica). Si contrappone altresì all’implied trust ossia un ‘trust
implicito’ che si considera posto in essere a seguito di un comportamento
concludente del disponente. Si ha invece un
bare trust (detto anche simple trust,
soprattutto negli Stati Uniti, o naked
o passive), ossia un ‘trust nudo o
trasparente’, che si caratterizza per
«un diritto pieno e incondizionato dei
beneficiari a ricevere il reddito nella sua originaria e specifica
conformazione. Viene quindi a crearsi, nonostante la pienezza dei poteri del
trustee nell’amministrazione e nella disposizione dei beni, una sorta di
“trasparenza” del flusso di reddito che si limita a passare per le mani del
trustee e fluisce direttamente ai beneficiari»[8].
In questa
fattispecie, spesso avente come unica funzione quella di segregare taluni beni
rispetto al patrimonio personale, al trustee non spetta che il mero compito di
mantenere l’intestazione dei beni. Nell’ambito dei summenzionati trust di scopo,
trova spazio il non charitable purpose
trust (spesso NCPT), che in italiano è stato reso come ‘trust di scopo non
charitable’, ossia un trust di scopo
senza alcuna finalità benefica o caritatevole o scopo pubblico, che si incontra
ormai con sempre maggior frequenza in ambito societario come strumento per la
detenzione di partecipazioni sociali.
Ultimo, ma
non certo per importanza o frequenza il
blind trust, quello che
la Borsa Italiana
definisce un ‘affidamento fiduciario cieco’[9], ossia un trust concepito
espressamente per evitare o disciplinare il caso di conflitto di interessi che
potrebbe nascere dall’affidamento di incarichi politici/pubblici a soggetti
titolari di interessi individuali.
Bibliografia
Aa.Vv., “La
giurisprudenza italiana sui trust - Dal 1899 al 2005”, Quaderni della Rivista
Trust e attività fiduciarie n. 4,
Ipsoa, 2005.
Gazzetta
Ufficiale n. 261, 8 novembre 1989.
Lupoi M.,
Il trust nel diritto civile, Utet, 2004.
Maritano D.,
“Trust e diritto italiano: uno sguardo d’insieme (tra teoria e prassi)”, in
Vita Notarile, n. 1, gennaio-aprile
2005.
Semino G.,
“Strutturazione di un trust trasparente”, Relazione presentata in occasione del
III Congresso dell’Associazione “Il trust in Italia”.
Sitografia
http://www.assotrust.it
http://www.borsaitaliana.it/documenti/rubriche/sottolalente/blind-trust.htm
http://www.diritto.it/materiali/civile/iltrust.html
http://www.filodiritto.com
http://www.jerseylaw.je/Publications/jerseylawreview/feb04/JLR0402_Hayton.aspx
http://www.il-trust-in-italia.it
[1]
A questo proposito si vedano gli scritti di M. L. Lupoi, tra cui
Il trust nel diritto civile, Utet,
2004.
[2]
«I trusts sono solo e soltanto trusts e non vi è nessuna analogia con alcun
istituto vigente nel nostro ordinamento o più in particolare in qualsiasi
ordinamento di Civil Law. Per questa ragione qualsiasi intento di assimilazione
o comparazione deve essere assolutamente scoraggiato.», Avv. Annapaola Tonelli
in “I Trust: brevi cenni ed aggiornamento giurisprudenziale”,
www.filodiritto.com/diritto/privato/civile/trustingenere.htm
[3]
Gazzetta Ufficiale n. 261 dell’8 novembre 1989.
[4]
Si veda, ad esempio, lo studio dell’Avv. Antonio Scipione apparso su Diritto e
Diritto – Portale Giuridico Italiano, all’indirizzo
http://www.diritto.it/materiali/civile/iltrust.html
[5]
Annotazione a cura dell’avv. Elena Incisa di Camerana alla proposta di
traduzione della Convenzione dell’Aja dell’Associazione “Il trust in Italia”,
http://www.il-trust-in-italia.it/aja/.
[6]
Aa.Vv., “La giurisprudenza italiana sui
trust - Dal 1899 al 2005”, Quaderni della Rivista
Trust e attività fiduciarie n. 4,
Ipsoa, 2005, pag. 405.
[7]
http://www.jerseylaw.je/Publications/jerseylawreview/feb04/JLR0402_Hayton.aspx
[8] G. Semino, “Strutturazione di un trust trasparente”,
Relazione presentata in occasione del III Congresso dell’Associazione "Il trust
in Italia”.
[9]
http://www.borsaitaliana.it/documenti/rubriche/sottolalente/blind-trust.htm.
|
|