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Incontrare parole inglesi negli articoli scritti da italiani, su quotidiani e periodici italiani, destinati a lettori italiani, è diventato talmente frequente che quasi non ce ne accorgiamo più. Ma se decidiamo di fare attenzione e ci prendiamo la briga di sottolineare i termini stranieri infiltrati subdolamente nella nostra lingua, ci ritroveremo con un foglio punteggiato di parole evidenziate.
Mi sono cimentata in questo esercizio qualche giorno fa, sulle pagine economiche del Corriere della Sera, uno dei quotidiani italiani giustamente più accreditati, sia per l'affidabilità delle notizie, sia per la qualità linguistica. Ebbene, ho tirato fuori un elenco di termini inglesi, sparsi in vari articoli economici, piuttosto impressionante e non ho potuto fare a meno di chiedermi se non esistano equivalenti italiani di pari efficacia.
Il primo che mi è saltato all'occhio è stato il rally della borsa. Il dizionario della lingua italiana Devoto-Oli riporta, alla voce rally: "Competizione automobilistica, articolata in più tappe e in diverse prove (di velocità, di regolarità, speciali, ecc.), con posti di controllo disposti lungo il percorso: il r. di Montecarlo. [Propriamente "raduno", dal francese rallier, 'riunire, radunare']". D'accordo, nessuno penserà a un rally automobilistico, ma sarebbe decisamente più chiaro e più corretto dire "recupero", come giustamente traduce il dizionario enciclopedico economico e commerciale di Fernando Picchi, aggiungendo nella definizione "la ripresa del corso di un'azione o altro valore mobiliare, o la ripresa del prezzo di un bene su un particolare mercato".
In un altro articolo trovo più volte citata la Authority per l'energia. Ora, il dizionario italiano, adeguandosi all'uso, riporta il termine authority: "Organismo ufficiale preposto a servizi di pubblico interesse, con funzioni direttive e di controllo", ma rimanda all'italiano "autorità", di cui fornisce una definizione più generica: "Il complesso delle persone che esercitano un potere legittimo, o degli organi che svolgono determinate funzioni pubbliche: l'a. governativa, di pubblica sicurezza, ecclesiastica; a. giudiziaria, quella per mezzo della quale si attua la tutela del rapporto giuridico; a. costituita, riconosciuta e sanzionata dallo Stato".
Se ne può dedurre che, mentre l'inglese utilizza lo stesso termine per indicare i due concetti, da noi si è preferito mantenere il vocabolo nostrano per il concetto generale e adottare la versione inglese per il significato particolare, un'operazione che tuttavia non trova nessuna giustificazione logica e appare lesiva dell'integrità linguistica dell'italiano.
Un'altra espressione inglese che compare abitualmente sulle pagine economiche dei giornali è project financing. L'enciclopedia della finanza della collana Garzantine la riporta dandone questa definizione: "Operazione di finanziamento di una particolare unità economica nella quale un finanziatore è soddisfatto di considerare, sin dallo stato iniziale, il flusso di cassa e gli utili dell'unità economica in oggetto come la sorgente di fondi che consentirà il rimborso del prestito e le attività dell'unità economica come garanzia collaterale del prestito. Consiste nella realizzazione di un progetto infrastrutturale (un ponte, un'autostrada, un porto, ecc.) o di altra opera pubblica che deve consentire il recupero dei capitali investiti per intero o in modo significativo sulla base dei profitti futuri; è quindi il flusso di cassa generato dalla gestione dell'opera a finanziare il rimborso dei prestiti accesi per realizzarla. Il soggetto finanziatore e realizzatore deve trovare nella remunerazione ottenibile e nelle eventuali agevolazioni messe a disposizione dall'ente pubblico la convenienza a dar vita all'operazione. La modalità più nota di project financing è quella build, operate and transfer, che consiste nella concessione di costruzione e di gestione di un'opera significativa (per esempio, un'autostrada a pedaggio) data a una società privata che la finanzia, realizza e gestisce per un certo periodo di tempo prima di trasferirla all'ente pubblico concedente. Molto diffusa è anche la private-public partnership, con cui si dà vita a una società mista privata-pubblica la cui gestione è affidata al privato, ma che consente all'ente pubblico di partecipare agli utili".
Se l'enciclopedia non propone neanche una traduzione italiana del project financing, il Ministero del Tesoro compie, per fortuna, un piccolo sforzo e, nel sito www.tesoro.it, pur facendo largo uso dell'espressione inglese, ne fornisce una dignitosissima ed efficace versione italiana, "finanza di progetto", e utilizza "partenariato pubblico-privato" per private-public partnership, a riprova del fatto che, con un po' di buona volontà, è possibile, anzi, è meglio, parlare nella propria lingua.
Quanto al build, operate and transfer, il dizionario enciclopedico economico e commerciale Ferdinando Picchi propone una traduzione perfettamente accettabile: "costruzione, gestione e cessione", che forse varrebbe la pena segnalare agli autori della Garzantina di cui sopra.
La stessa enciclopedia non ha trovato, invece, un degno corrispettivo italiano per corporate governance, altro termine entrato di prepotenza nella nostra lingua e che in pochi ci ostiniamo a tradurre, a rischio di essere tacciati di purismo, o peggio, corretti dai revisori delle agenzie.
In un articolo pubblicato sulla rivista Limes qualche anno fa, Diego Marani, traduttore dell'Unione Europea, inserisce il termine governance in uno spassoso Glossario analfabetico dell'eurolingua. "Governance: un altro affascinante neologismo, che nessuno sa bene cosa sia, ma oggi va messo dappertutto. Si sa che è di più e meglio di "governo", ma non è ancora "buon governo". Così in italiano l'Accademia della Crusca raccomanda "governanza", ma alla Commissione europea preferiscono "governamento", una parola che il dizionario italiano dà per desueta. I francesi se la sono cavata con "gouvernance". Ma anche loro hanno dovuto raschiare il fondo del Petit Robert per rimediare questo termine, che in passato indicava una divisione amministrativa della Fiandra e dell'Artois. Gli spagnoli hanno trovato "gobernanza", (...) mentre i portoghesi allegramente traducono "boa governação". Alla fine anche in italiano prevale il termine inglese "governance", perché forse "governanza" ricorda troppo la governante. Sul dizionario ci sarebbe anche la "governatura", ma riguarda gli animali domestici e la loro cura. E la "rigovernatura" è solo quella dei piatti".
Molto seriosamente, invece, la Garzantina di finanza definisce così la corporate governance: "Locuzione inglese con cui si fa riferimento al governo dell'impresa, cioè agli organi della stessa e alle relazioni che intervengono tra gli stessi (ripartizione dei compiti, assunzione delle responsabilità, esercizio reale del potere di prendere decisioni)".
Il dizionario economico e commerciale di Picchi traduce l'espressione con "amministrazione di persona giuridica, governo d'impresa" e aggiunge: "Si tratta di una questione molto dibattuta in quanto riguarda il modo in cui le grosse organizzazioni, specialmente società per azioni, sono gestite e il tipo di responsabilità che gli amministratori hanno nei confronti dei proprietari o azionisti".
Sulle pagine economiche del Corriere della Sera, in uno stesso articolo dedicato all'introduzione del sistema dualistico, il giornalista utilizza sia l'espressione inglese, sia la versione italiana "governo societario". Sulla stampa in generale si trova più comunemente l'ibrido "governance duale" rispetto all'italiano "governo duale".
Alcuni obiettano che non sempre due espressioni, quella inglese e quella italiana, indicano esattamente la stessa cosa e che la versione nostrana suggerisce un concetto più ampio o più ristretto, ma comunque inadeguato.
Per lungo tempo si è pensato che fosse questo il caso di "revisione contabile" come traducente dell'inglese auditing, un termine già noto, ma che si è imposto all'attenzione del pubblico anche non specializzato in occasione dello scandalo Enron. L'enciclopedia della finanza lo riporta in inglese: "Auditing: termine inglese che deriva dal latino «auditores», nome che veniva dato ai controllori dei conti che «ascoltavano» le spiegazioni che venivano loro dette dai controllati. Indica la funzione svolta dagli auditor (revisori) e l'insieme delle procedure di controllo con le quali si effettuano le verifiche della corretta tenuta della contabilità aziendale, o di parti di essa, e del bilancio di esercizio".
Segue la voce auditor: "Revisore contabile che esercita il controllo sulla regolare tenuta della contabilità e sulla corretta redazione del bilancio d'esercizio. Può essere un controllore interno (persona dipendente dalla società appartenente al servizio di internal auditing) o un controllore esterno, facente parte del collegio sindacale o della società di revisione all'uopo incaricata".
Il dizionario economico Picchi, già citato, si limita a dare due definizioni del termine auditing: a) atto o processo di svolgere una revisione dei conti; b) branca della contabilità che tratta delle revisioni dei conti, senza però fornire una traduzione. Tuttavia, traduce auditor come "revisore dei conti", "sindaco revisore dei conti" e "auditore", dandone la seguente definizione: "Contabile esperto nella revisione dei conti di un'azienda o di associazioni senza scopo di lucro. La sua funzione è quella di verificare i conti onde poter dare una sua opinione sull'accuratezza delle scritture e dei conseguenti rendiconti. I conti di una società per azioni devono essere, per legge, sottoposti a revisione. Il revisore è un professionista indipendente che viene assunto dagli azionisti, verso i quali è responsabile".
Il Black's Law Dictionary fornisce definizioni in tutto e per tutto analoghe di audit ("systematic inspection of accounting records involving analyses, tests, and confirmations") e auditor ("one who checks the accuracy, fairness, and general acceptability of accounting records and statements and then attests to them. (...) An officer of a business who examines and verifies accounts for accuracy").
Sembra, quindi, legittimo chiedersi da dove derivi l'idea che l'inglese auditing sia qualcosa di diverso e di più specifico rispetto all'italiano "revisione contabile".
Gli esempi sono infiniti. In una serie di articoli pubblicati dal Corriere della Sera, qualche tempo fa, in riferimento a un accordo tra due grandi società, compaiono sia termini inglesi con un corrispondente italiano ampiamente affermato, come master agreement per "accordo generale" e litigation per "controversia", sia espressioni ibride, come periodo di mediation e opzione put (che però figura anche come put option e, in articoli precedenti sullo stesso giornale, come opzione di vendita o semplicemente il put).
Su una mailing list dedicata alla traduzione da e verso l’italiano, che conta oltre 1.500 iscritti, si è svolta di recente un'interessante discussione sulla traduzione più appropriata di business model. Secondo alcuni, l'equivalente italiano sarebbe "modello di business"; altri hanno suggerito "modello di impresa".
Chi propende per la prima soluzione giustifica la scelta sostenendo che il "modello di impresa" descrive il tipo di organizzazione dell'attività imprenditoriale (padronale, familiare, globale, eccetera), mentre il "modello di business" si riferisce in modo più specifico alle strategie adottate per raggiungere gli obiettivi prefissati, attraverso una determinata attività economica.
Tuttavia, questa distinzione non è emersa dai risultati delle ricerche effettuate, che anzi hanno confermato l'intercambiabilità delle due versioni.
Un sito Internet dedicato allo studio e alla realizzazione di sistemi aziendali (http://www.businessmodeling.it/index.htm) distingue tra "modello d'impresa", definito come un modello essenziale delle strategie, regole e politiche societarie (indicato come traducente di business model e sinonimo di "modello logico”, o requirements model), e "modello d'azienda" (enterprise model), descritto come lo strumento con cui si delinea il progetto volto a realizzare concretamente il modello d'impresa (detto anche "modello fisico" o implementation model). Facendo una ricerca in rete sui siti .it di lingua italiana, si ottengono 15.850 risultati per "modello di impresa" e "modello d'impresa", ma ben 145.000 per "modello di business".
Risulta, quindi, evidente che l'espressione ibrida ha avuto molta più fortuna di quella italiana, sebbene si possano considerare sinonimi.
Il fatto che molti termini inglesi siano entrati nell'uso e risultino comprensibili, almeno agli esperti del settore, offre a chi scrive di finanza la possibilità di attingere a una gamma di sinonimi più ampia evitando le ripetizioni, sempre poco tollerate dall'orecchio italiano. In molti casi la scelta del termine straniero in luogo del corrispondente italiano non è quindi giustificata da necessità lessicali, ma solo da preferenze personali o da esigenze stilistiche.
Quando si tratta, però, di testi tradotti, l'abitudine tanto frequente di lasciare in inglese termini per cui esiste un corrispettivo italiano efficace appare raramente giustificabile, soprattutto se si tratta di materiale destinato a un pubblico non necessariamente composto da esperti della materia.
Bibliografia
- AA.VV., Enciclopedia della finanza, Garzanti, 1998.
- De Franchis, F., Dizionario Giuridico, Giuffrè Editore, 1984.
- Garner, B. A., Black’s Law Dictionary, West Publishing, 2001.
- Picchi, F., Dizionario enciclopedico economico e commerciale, Zanichelli, 2006.
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