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I discorsi politici tenuti da Barack Obama durante la campagna elettorale che lo ha visto eleggere 44esimo presidente americano sono risultati estremamente d’effetto grazie a una retorica capace di tenere insieme la densità dei contenuti con la leggerezza della forma, il tutto accompagnato dal linguaggio del corpo. Obama appare dotato di un’eccellente padronanza dell’uso del linguaggio della politica, ovvero una lingua settoriale che, essendo priva di una propria nomenclatura, attinge dalla lingua comune e da altre lingue specialistiche, risultando ricca di ambiguità, reticenze e polisemie, e fa ampio ricorso a specifiche figure retoriche con l’intento di persuadere l’audience. I leader politici, infatti, convincono gli elettori-cittadini dei benefici delle loro politiche e legittimano il loro potere per mezzo della performance linguistica. Secondo Charteries-Black, però, sono molteplici i fattori che influenzano la nostra percezione dei politici: misuriamo la loro personalità attraverso l’apparenza (caratteristiche fisiche, abbigliamento) e il comportamento (vezzi, gesti), e così siamo solo parzialmente coscienti dell’insieme di elementi che contribuiscono a definire il nostro giudizio sulla credibilità di un politico.
A tal proposito, Obama, durante la campagna elettorale, ha dimostrato di essere un leader capace di non sottovalutare mai il livello di attenzione dell’elettorato e di mantenerlo alto attraverso il ricorso a strategie linguistiche volte a consolidare le due funzioni comunicative dominanti in un discorso politico: la funzione fatica, incentrata sul canale della comunicazione, e la funzione conativa, focalizzata sul ricevente e messa in atto quando l’emittente cerca di influenzarlo. Ma per capire la forza obamiana è necessario compiere un’analisi a tutto tondo che parta dalle capacità performative dell’attuale presidente USA e che si concentri via via sugli elementi linguistici e retorici che garantiscono quel risultato persuasivo che non deve mancare nelle versioni tradotte.
Obama viene descritto dallo psicoterapeuta Francesco Padrini un leader passionale, comunicativo e dinamico, dai tratti del viso aperti ed espressivi che attraggono e suggeriscono fiducia e coinvolgimento. I suoi discorsi sono caratterizzati da una grammatica fatta di sguardi, sorrisi, pose ed espressioni di slancio capaci di comunicare ottimismo. Lo stile utilizzato durante l’esposizione ha forti richiami religiosi, soprattutto nell’intonazione, nell’enfasi, nelle pause e nei silenzi. Inoltre, Obama si è proposto, e la sua retorica lo propone, come l’erede delle tradizioni retoriche e politiche di Abraham Lincoln, Martin Luther King e John F. Kennedy; le sue capacità retoriche e la sua abilità nel catturare e catalizzare l’attenzione del pubblico attraverso i suoi discorsi hanno fatto sì che molti scrittori lo abbiano definito il più grande oratore della sua generazione, mentre Ekaterina Haskins, docente di retorica al Rensselaer Polytechnic Institute di New York, afferma che Barack Obama incarna più di ogni altro politico gli ideali dell’eloquenza americana. I suoi interventi portano l’eco dei grandi discorsi del passato e creano sapientemente un senso di continuità, storia e scopi comuni. Si pensi, ad esempio, al luogo scelto da Obama per annunciare la sua candidatura alle presidenziali il 10 febbraio 2007, la State House di Springfield, la storica sede della capitale dell’Illinois in cui Abraham Lincoln pronunciò il 16 ottobre 1854 il discorso “A House divided” con il quale invocò la fine della schiavitù. Obama, inoltre, in quell’occasione, ha richiamato la vita dell’ex presidente americano e le sue parole di speranza e unità nonostante le difficoltà.
Come è già stato accennato, i discorsi di Obama sono caratterizzati da una vasta gamma di strategie retoriche che combinandosi danno forma al linguaggio del potere. Si tratta, secondo Max Atkinson, di una serie di artifici linguistici utilizzati dai politici per ottenere un applauso dal pubblico e per questo sono definiti “claptrap”: predominano la metafora, la list of three e i sound bite, un contemporary device che ha un effetto sonoro e ideologico che tende a sottolineare elementi che devono essere ricordati con lo scopo di catturare l’attenzione dell’addressee.
La metafora è la figura retorica principale usata nel linguaggio persuasivo della politica perché sfrutta le risorse della lingua attivando le associazioni nascoste che sono alla base del nostro sistema di valutazione; è, quindi, in grado di influenzare la risposta emotiva del pubblico introducendo nuovi sistemi di valori, proiettando l’ascoltatore in mondi diversi sentiti solo a livello inconscio e agendo attraverso il concetto di trasposizione per il quale si passa da un primo significato denotativo a un secondo connotativo per mezzo di due domain che si uniscono. Un campo semantico molto sfruttato nel corpus dei discorsi di Obama è quello del viaggio e le forme linguistiche usate maggiormente sono: journey, way, travel, road, trail, path, bend, climb, setbacks e false starts. Il tema del viaggio include elementi necessari come punti di inizio e fine collegati al sentiero da percorrere; comporta la possibilità di esperienze positive e negative tra cui appunto setbacks e false starts; permette allo speaker di rappresentare se stesso come una guida, di definire le proprie idee politiche come una mappa e di avvicinarsi all’audience in veste di compagno di viaggio; infine, incoraggia ad accettare una breve sofferenza in vista di un obiettivo sociale desiderabile e a lungo termine attraverso sentimenti di solidarietà, come emerge nel discorso della vittoria pronunciato a Chicago il 4 novembre 2008:
“The road ahead will be long. Our climb will be steep. We may not get there in one year or even one term, but America - I have never been more hopeful than I am tonight that we will get there. I promise you - we as a people will get there”.
La guerra rappresenta un altro source domain usato frequentemente da Obama; le forme linguistiche usate maggiormente sono: fight, army, battle, threats, struggle, war, challenges, defeat, combat, dismantle, win, face down, forefront, troops, sights e take out. Questo campo semantico è molto sfruttato in quanto la politica non è vista come un campo di riconciliazione dove trovare una soluzione, ma al contrario come un luogo di scontro, in cui due fazioni contrapposte lottano, anche attraverso l’impatto fisico; la metafora della guerra fa, quindi, riferimento al concetto metaforico per il quale la politica è conflitto. Spesso non viene utilizzata un’unica metafora, ma è presente una trama metaforica che Obama intesse attraverso l’impiego di termini bellici e talvolta anche mediante una descrizione della guerra sia in modo denotativo che connotativo, come accade nel discorso di Denver:
“For while Senator McCain was turning his sights to Iraq just days after 9/11, I stood up and opposed this war, knowing that it would distract us from the real threats we face. When John McCain said we could just “muddle through” in Afghanistan, I argued for more resources and more troops to finish the fight against the terrorists who actually attacked us on 9/11, and made clear that we must take out Osama bin Laden and his lieutenants if we have them in our sights”.
Secondo Sam Leith a livello retorico lo stile di Obama appare meravigliosamente e intenzionalmente musicale. Gran parte dell’effetto della sua retorica politica dipende da come vengono scandite le parole: ne è un esempio lo slogan “Yes, We Can”, che deve gran parte della sua efficacia alle tre sillabe accentate. A livello fonico-ritmico, Obama utilizza frequentemente la list of three, un effetto sonoro tipico dei discorsi orali che viene dalla musica e che ha lo scopo di attrarre il pubblico per mezzo della ripetitività. Obama sfrutta diversi tipi di list of three: per esempio, nel discorso di Springfield del 2007, alcune sono caratterizzate dalla ripetizione di una stessa espressione per tre volte con lo scopo di dettare il ritmo e scandire la struttura dell’enunciato, come nel caso della formula “in the face of”, utilizzata all’inizio e poi ripresa qualche riga più avanti per delineare situazioni in cui gli americani hanno avuto la forza di cambiare la nazione nonostante le difficoltà; altre hanno una struttura simile in cui a cambiare è solo il sostantivo finale, come nel caso di “he had his doubts”, “he had his defeats” e “he had his setbacks”, usata per sottolineare le minacce che dovette affrontare Abraham Lincoln; mentre altre ancora sono usate per scandire i modi per affrontare temi scottanti come quello della sanità:
“We can control costs by focusing on prevention, by providing better treatment to the chronically ill, and using technology to cut the bureaucracy”.
In Obama è anche frequente il ricorso a un’altra caratteristica tipica dell’oralità, ovvero la ripetizione che spesso si manifesta sottoforma di anafora. Per lo più è utilizzata per conferire al discorso una struttura precisa e ripetitiva con lo scopo di evocare, convincere e affascinare e, non a caso, i paragrafi introdotti da questo artificio veicolano concetti molto importanti che rimangono così impressi nella mente dell’ascoltatore. Obama, per esempio, nel discorso di Springfield usa l’anafora:
- per scandire le esperienze avute fino a quel momento attraverso la ripetizione per tre volte dell’espressione “it was here”;
- per introdurre gli argomenti della sua agenda politica attraverso l’imperativo “let us be the generation that”;
- per enfatizzare le parole di Lincoln attraverso l’espressione: “he tells us that there is power in…”, a cui segue un’ulteriore anafora ripetuta in list of three (“I want”), per sottolineare le motivazioni per cui intendeva vincere le elezioni.
Il linguaggio è il mezzo principale della costruzione sociale della realtà e durante le campagne elettorali viene selezionato accuratamente dai politici e dagli spin doctor 1 per influenzare l’opinione degli elettori. Il linguaggio, ad ogni modo, non è soltanto un mezzo di persuasione e manipolazione, esso rivela anche i valori e le attitudini di chi parla. Per esempio, la principale premessa retorica di Obama da candidato democratico alle presidenziali 2008 era di ottenere la fiducia degli elettori verso di sé e verso la sua agenda politica. Ciò era evidente linguisticamente nello slogan elettorale “Change we can believe in” e dall’importanza attribuita al campo semantico del cambiamento veicolato nei suoi discorsi dal termine change: si tratta della principale key word obamiana che rappresenta una sintesi programmatica di tutta la sua idea politica. Nei suoi speech sono presenti anche altre key word legate anch’esse al campo semantico del cambiamento, come gli aggettivi different e new o il sostantivo challenge, che rientra nel campo semantico della guerra e fa riferimento alle sfide e alle difficoltà che si devono superare per ottenere il tanto agognato change, e il termine progress, che sottintende la valenza positiva della trasformazione a cui Obama ambisce. Altre parole chiave sono riscontrabili nel modo in cui Obama intende ottenere questo cambiamento e quindi termini come: together, unite, union e common, che indicano la necessità di collaborazione, unità di intenti e condivisione.
Infine, Obama gioca con le astrazioni patriottiche riempiendole attraverso esempi specifici e concreti, e sfatando la connotazione negativa della retorica di essere legata alle apparenze piuttosto che alla realtà: il discorso di Chicago può essere preso ad esempio per illustrare con quale maestria Obama veicoli l’idea di una lotta generazionale attraverso la vita dell’elettrice Ann Nixon Cooper di 106 anni. Si tratta di un procedimento retorico tipicamente americano che va dall’universale di una situazione globale al concreto dell’everyday man: Obama dopo aver parlato di valori fondamentali come democracy, liberty, opportunity e unyielding hope, li incarna nella figura della votante più anziana di quelle elezioni. Si tratta, inoltre, secondo Leith di un movimento caratterizzato dall’espansione: dal locale, al nazionale, al globale; dal momento presente al grandioso arco temporale della storia. Ancorando la parte finale del discorso alla vita della 106enne, Obama viaggia attraverso il XX secolo fino a giungere al presente, dal Sud segregazionista alla Luna.
Passando ora all’aspetto traduttivo, si può iniziare dicendo che tradurre un discorso politico presenta diverse difficoltà, soprattutto nel rendere gli elementi retorici che vanno mantenuti per conservare l’efficacia e persuadere l’uditorio; il traduttore deve adeguare il contesto all’ascoltatore senza perdere l’originale: il testo va collocato contestualmente e politicamente e talvolta sono necessarie note del traduttore per offrire delucidazioni come nel caso del termine President 2 che, sebbene possa essere tradotto con l’equivalente ‘Presidente’, fa riferimento a funzioni diverse negli Stati Uniti e in Italia.
Inoltre, si tratta di una trasposizione scritta di un testo che si colloca tra la teatralità e lo scritto; come è già stato osservato, l’oralità è caratterizzata dalla ripetizione che viene usata per dare enfasi, per marcare il ritmo nella delivery e per produrre una struttura facilmente memorizzabile; sebbene nell’oralità non stoni, nello scritto può essere un problema: ad ogni modo, in linea generale, ritengo sia preferibile conservare la struttura del testo di partenza (TP), rispettando così le caratteristiche tipiche dell’esposizione orale. Mentre un caso a parte è rappresentato dai pronomi personali e dagli aggettivi possessivi la cui continua ripetizione renderebbe la versione italiana meno fluente: in questo caso, invece, è necessario rispettare la struttura del testo di arrivo (TA) e dosare l’uso di pronomi e aggettivi per veicolare l’intenzione di unione tra il leader e il popolo espressa mediante il collettivo we, o l’assunzione di responsabilità manifestata col pronome singolare I.
A livello sintattico, i discorsi appaiono caratterizzati da coesione e presentano una struttura ben organizzata nella quale prevale la paratassi, tipica del linguaggio politico; dominano le frasi principali, che appaiono chiare e permettono all’audience di seguire facilmente il senso del testo così che il messaggio risulti incisivo e persuasivo. A mio avviso è, dunque, importante mantenere tale struttura e non appesantire la resa italiana con periodi lunghi e articolati in cui è facile perdere il senso del discorso. In questo le mie scelte entrano in contrasto con quanto realizzato nelle traduzioni editoriali di Bianca Lazzaro e Andrea Piccoli contenute all’interno della raccolta di discorsi politici obamiani intitolata Yes, we can. Il sogno americano. Ad esempio, prendendo in analisi l’Announcement for President pronunciato a Springfield, si evince che Obama utilizza nella parte finale dell’intervento pubblico frasi estremamente brevi, caratterizzate dalla ripetizione e che marcano la struttura dello speech attirando così l’attenzione dell’ascoltatore; la chiusura di un discorso politico, infatti, deve sempre raggiungere l’acme, deve provocare l’applauso e far crescere il valore emozionale creando un incontro emotivo tra oratore e pubblico. A mio avviso è necessario, quindi, rispettare il ritmo incalzante e ripetitivo dell’originale e non riscrivere il testo riducendo le ripetizioni e contemporaneamente modificando il ritmo che era proprio dell’originale.
TESTO ORIGINALE |
TRADUZIONE UFFICIALE |
PROPOSTA DI TRADUZIONE |
But the life of a tall, gangly, self-made Springfield lawyer tells us that a different future is possible.
He tells us that there is power in words.
He tells us that there is power in conviction.
That beneath all the differences of race and region, faith and station, we are one people.
He tells us that there is power in hope. |
Ma la vita di un avvocato di Springfield, alto e dinoccolato, che si è fatto da sé, ci dice che un futuro diverso è possibile, che le parole hanno una loro forza, così come ciò di cui siamo convinti, che al di là di tutte le differenze di razza e di origini, di fede e di classe, siamo un solo popolo.
Lui ci dice che c’è forza nella speranza. |
Ma la vita di un avvocato di Springfield fatto da sé, alto e allampanato ci testimonia che un futuro diverso è possibile.
Ci testimonia che c’è potere nelle parole.
Ci testimonia che c’è potere nella convinzione che al di là di ogni differenza di razza e religione, fede e classe sociale, noi siamo un unico popolo.
Ci testimonia che c’è potere nella speranza. |
Un discorso a parte va poi fatto per le traduzioni giornalistiche, che sono spesso caratterizzate dalla semplificazione e dalla riscrittura e quindi da tagli e omissioni; è tipicamente giornalistica, inoltre, la tendenza a estrapolare frasi significative e identificative del discorso politico, i cosiddetti sound bite che producono una vera e propria sintesi, talvolta anche ideologica. A titolo esemplificativo, possono essere prese in considerazione le traduzioni dell’incipit del primo intervento pubblico da presidente eletto degli Stati Uniti, pronunciato da Obama a Chicago e fornite da Anna Bissanti per La Repubblica e da Rita Baldassarre per il Corriere della Sera. La proposta traduttiva offerta dalla Bissanti è sintetica e sono molte le parti che vengono omesse, così come quelle dove si verifica un re-writing: le espressioni “in numbers this nation has never seen”, “many for the very first time in their lives” non vengono menzionate nella resa italiana, mentre più avanti si assiste a una riscrittura più sintetica che elimina particolarità retoriche come la diafora. Al contrario, la traduzione delle stesse righe offerta dalla Baldassarre risulta più completa: le espressioni omesse dalla Bissanti vengono rese in italiano “in numeri che questa nazione non aveva mai visto” e “molti per la prima volta nella loro vita”, così come viene rispettato l’uso della diafora.
TESTO ORIGINALE |
TRADUZIONE REPUBBLICA |
TRADUZIONE CORRIERE DELLA SERA |
It’s the answer told by lines that stretched around schools and churches in numbers this nation has never seen; by people who waited three hours and four hours, many for the very first time in their lives, because they believed that this time must be different; that their voice could be that difference. |
La risposta sono le code fuori dalle scuole e dalle chiese.
La risposta sono le persone che hanno atteso anche tre o quattro ore in fila perché credevano che la loro voce potesse fare la differenza. |
La risposta gliel’hanno data le code degli elettori, che si allungavano attorno alle scuole e alle chiese, in numeri che questa nazione non aveva mai visto; gliel’ha data la gente che ha aspettato tre, quattro ore, e molti per la prima volta nella loro vita, perché convinti che stavolta sarebbe stato diverso, che il loro voto avrebbe fatto la differenza. |
Infine, vorrei commentare la necessità di mantenere in traduzione l’espressione originale “Yes, we can” con cui Obama ha scandito la parte finale del discorso di Chicago. Il ripetere costantemente quelle parole che portano con sé tutta la carica del suo messaggio di cambiamento ha fatto sì che si stabilisse una relazione quasi messianica tra guida religiosa e fedeli: il pubblico, infatti, ripeteva subito dopo Obama il motto “Yes, we can”, dettando in questo modo il ritmo della delivery. Inoltre, è opinione comune che le elezioni presidenziali americane 2008 sono state le prime su scala globale e questo è testimoniato anche dall’eco che la vittoria di Obama ha provocato nel mondo. È per questo che ritengo non sia necessario tradurre il suo motto, ma lasciare invariato il potere evocativo di queste parole, convinta che chiunque abbia sentito parlare della campagna elettorale di Obama sia anche venuto a conoscenza del suo mantra di cambiamento e opportunità espresso da quelle tre parole brevi e incisive che la traduzione in “sì, possiamo” avrebbe solo potuto sminuire.
Si può, quindi, concludere dicendo che Obama ha conquistato le folle grazie alle sue capacità linguistiche e performative, e per questo motivo la traduzione deve essere realizzata con la massima attenzione alla cura dei dettagli e dei particolari, con la consapevolezza non solo del ruolo che il linguaggio svolge in un discorso politico, ma anche del ruolo fondamentale che la traduzione stessa svolge nella costruzione dell’immagine del presidente americano nel mondo.
Bibliografia
Atkinson, M., Our Masters’ Voice. The Language and Body-Language of Politics, Routledge, 1984.
Charteries-Black, J., Politicians and Rhetoric. The Persuasive Power of Metaphor, Palgrave Mac Millian, 2006.
Haskins, E., “Obama: oratory and originality”, http://news.bbc.co.uk, 2008.
Leith, S., “L’antica arte dell’oratoria arma vincente di Barack”, Il Sole24Ore, 2009.
Obama, B., Yes, we can. Il nuovo sogno americano, Donzelli, 2008.
Padrini, F., “Obama contro McCain: il linguaggio del corpo verso la Casa Bianca”, Il sole24, 2008.
Sitografia
http://www.barackobama.com
http://www.youtube.it
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1 Spin doctor. Termine inglese la cui traduzione è: ‘dottore del raggiro’, ‘manipolatore di opinioni’; è un consulente politico esperto di comunicazioni che può scrivere discorsi, essere manager di elezioni, portavoce di partiti, esperto di sondaggi o al servizio dei governi.
2 Nella carica di Presidente degli Stati Uniti, grosso modo, coincidono e si uniscono i poteri che in Italia sono divisi tra il Presidente della Repubblica e quello del Consiglio. Il Presidente in materia internazionale negozia e stipula i trattati con il consenso di almeno due terzi del Senato; in ambito legislativo, gode del potere di raccomandazione o “impulso” e del potere di veto; nomina i funzionari federali con il necessario consenso del Senato e ha il comando delle Forze Armate.
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