“Chi è senza peccato scagli la prima pietra!”. La citazione evangelica vale in
primis per il sottoscritto che vuole, sin dall’esordio, tranquillizzare il
lettore su un semplice fatto: non siamo qui per pontificare, ma per dare
un’occhiata a una delle trappole più insidiose e difficili da evitare per i
traduttori e proporre una prima ipotesi di sistema pratico, si spera, per
cercare di evitarle. E - perché no? - magari anche riuscirci.
Se è vero, come sembra, che su questo pianeta si parlano lingue diverse da
quando i nostri antenati hanno iniziato a calcare il suolo dei continenti emersi
e a usare la parola per comunicare, dobbiamo se non altro ipotizzare che gli
errori di traduzione, preterintenzionali e non, sono antichi come il mondo. Se
poi a questa considerazione ne aggiungiamo un’altra e cioè che spesso anche
coloro che parlano la stessa lingua capiscono fischi per fiaschi quando parlano
tra loro, vediamo che il problema non tocca solo l’aspetto della traduzione, ma
anche quello della comunicazione verbale in generale.
A riprova che il problema sia annoso, basti pensare che tra le prime dispute
sugli errori di traduzione (o scelte terminologiche discutibili) di cui siamo a
conoscenza, vi sono sicuramente quelle che riguardano le edizioni in lingua
latina del Nuovo Testamento e quelle di certe traduzioni in lingua greca di idee
o concetti propri della religione ebraica e della lingua aramaica.
Ciò detto, se è vero che ancor oggi dobbiamo affrontare problemi che
affliggevano gli antichi, è anche vero che fortunatamente disponiamo di mezzi
che nei secoli passati sicuramente non esistevano. Dizionari, glossari,
dizionari terminologici, database, immagini, Internet e quant’altro non
scarseggiano certo oggigiorno e, pur ammettendo che districarsi nel labirinto di
tutte queste risorse alle volte può risultare poco agevole, è vero che con un
po’ di pratica una risposta si riesce sempre, o quasi, a trovarla. Non è nostra
intenzione disquisire qui sulla bontà di questo o quest’altro dizionario, ovvero
dell’una o dell’altra risorsa. Vogliamo solo far presente che i mezzi per
comprendere la stragrande maggioranza dei testi il più delle volte sono
disponibili e che, ai fini della dissertazione che seguirà e per semplificarne
gli assunti, arbitrariamente considereremo possibile chiarire qualsiasi parola
in un testo e metterne a fuoco il significato.
Entriamo così nel vivo della discussione e nel merito di uno degli aspetti più
sfuggenti e più difficili da gestire nel rapporto che l’italoparlante ha con la
lingua inglese: il trito e ritrito dilemma dei falsi amici e quello meno trito,
ma più oscuro, delle invenzioni di cui è nostra intenzione parlare in un
articolo a seguire.
È opportuno qui ricordare brevemente un fatto. Stando ad alcune autorevoli fonti
(nella fattispecie… Wikipedia), scopriamo che il 28,3% del vocabolario inglese è
di origine francese, il 28,24% di origine latina e il 5,32% di origine greca.
Gli apporti germanici arrivano solo al 25%. Abbiamo qui volutamente semplificato
le percentuali. Con questo intendiamo dire che non abbiamo soppesato gli apporti
danesi e olandesi né calcolato quanto del vocabolario inglese possa essere fatto
risalire agli antichi anglosassoni. Non risulta infatti pertinente alla prima
osservazione che desideriamo fare e cioè che, direttamente o indirettamente, il
56,54% del vocabolario inglese risale al ceppo italico, e non germanico, delle
lingue indoeuropee. Il vocabolario di ascendenza germanica è pari a meno della
metà.
I motivi storici di tale sproporzione sono noti e non occorre rammentarli in
questa sede. Non è di grande consolazione (almeno per il traduttore) sapere che
le 1000 parole più comunemente usate in inglese sono per l’83% di origine
anglosassone: difficilmente i testi articolati con cui si ha mediamente a che
fare si limitano al cosiddetto Basic English. È invece interessante notare, a
titolo di raffronto e ai fini di questa dissertazione, che in italiano gli
apporti germanici sono molto limitati.
Questa particolare circostanza, cui si aggiunge una grammatica piuttosto
lineare, anche qui relativamente parlando, rappresenta al contempo la croce e la
delizia di chi si avvicina all’inglese per studiarlo, comprenderlo e, in ultima
analisi, tradurlo. Se da un lato, infatti, un numero così elevato di termini
apparentemente familiari dà allo studente della lingua inglese la, diciamolo
subito, falsa impressione di non dover faticare troppo a memorizzare un
vocabolario sufficientemente esteso, dall’altro lo prepara a capire molti fischi
per molti fiaschi e a doversi confrontare con le spiacevoli conseguenze che
derivano dal non avere veramente
capito qualcosa. Fondamentali distinguo
che avrebbero dovuto essere colti, ma sono invece passati inosservati, finiscono
con l’accumularsi e col generare una confusione che, nella migliore delle
ipotesi, richiederà un po’ di tempo per essere sbrogliata e, nella peggiore,
spingerà lo studente o traduttore a maledire l’anglofono idioma e ad
abbandonarlo. Ricordiamo a questo proposito, sebbene non sia oggetto della
presente disquisizione, che anche l’apparente semplicità della grammatica e
delle forme spesso si rivela un’arma a doppio taglio.
Considerato che, come abbiamo visto, il 56,54% del vocabolario inglese risale al
ceppo italico e non germanico delle lingue indoeuropee, risulta chiaro che il
problema dei falsi amici per chi traduce dall’inglese all’italiano, o viceversa,
non è trascurabile. Mi si obietterà che i falsi amici sono in fondo solo una
minoranza e che, insomma, stiamo un po’ gonfiando il problema.
Davvero?
Diamo un’occhiata.
Innanzitutto vediamo di sfatare un mito. Un falso amico non è
solo una parola che differisce
radicalmente come significato da
un’altra di origine o aspetto/suono simile. Un falso amico è
anche una parola che differisce anche
solo in parte da un’altra di origine o
aspetto/suono simile. Le parole hanno quasi sempre più definizioni ed è su
queste che occorre basarsi per stabilire se due termini sono falsi amici e
in che misura. Sono falsi amici al
100% o solo al 20%?
Vediamo.
Procuriamoci innanzitutto dei dizionari seri e monolingue. Lasciamo perdere i
bilingue e soprattutto gli inutili ‘dizionari dei falsi amici’ di un noto
editore che vorrebbero essere il canone ufficiale in materia e che, sfido
chiunque a dimostrare il contrario, non sono mai veramente venuti utili una sola
volta per chiarire termini problematici, men che meno per fornire la risposta
agognata. Si consigliano dizionari medi e mediamente completi, senza definizioni
sinonimiche. Negli esempi che seguiranno, citeremo di volta in volta i dizionari
usati. A chi si chiede il perché di tanta enfasi sui monolingue, la risposta è
semplice e la formuleremo sotto forma di domanda: Chi conosce meglio le
definizioni delle parole usate in una lingua: il lessicografo che la parla o un
lessicografo straniero?
Lasciamo al lettore di dare la fin troppo ovvia risposta.
Facciamo adesso un esperimento. Prendiamo una parola come
idiosyncrasy. Come tutti quelli che vi
proporremo, anche questo è un esempio vero, vale a dire un tranello in cui chi
scrive ha visto cadere un traduttore. Anzi, in questo caso si trattava di una
traduttrice che, neanche a farlo apposta, tradusse la parola inglese con
‘idiosincrasia’ dimostrando di non conoscere né la definizione, o meglio le
definizioni inglesi, né quelle italiane. Precisiamo subito che la parola non
compariva in alcun contesto medico.
Che cosa ci rivela un esame comparato delle definizioni di queste parole? Come
avrebbe detto un mio istruttore dei tempi andati,
let’s break the books, ovvero ‘apriamo i libri’, e vediamo che cos’hanno da dirci.
Idiosyncrasy
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Idiosincrasia
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1 a: a peculiarity of constitution
or temperament: an individualizing characteristic or quality
1 b: individual hypersensitiveness
(as to a drug or food)
2: characteristic peculiarity (as
of temperament); broadly: eccentricity
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1
med.,
sensibilità patologica particolare di alcuni individui a determinate sostanze
normalmente non dannose
2
fig., forte avversione per qcs. o qcn.
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Merriam-Websters
Dictionary
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Dizionario De Mauro
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La prima cosa che salta all’occhio è che l’unica definizione ove le due lingue
si incontrano è quella di campo specialistico (medico). Nell’uso comune, e
quindi più frequente, la divergenza è addirittura smaccata. Una forte avversione
per qualcosa, infatti, ben poco ha a che fare con un tratto distintivo
caratteriale o fisico.
Mi si obietterà che per alcuni una particolare avversione per qualcosa
può costituire un tratto distintivo.
Concordo, ma faccio altresì notare che l’opposto non è vero: un tratto
distintivo non sempre consiste in una particolare avversione per qualcosa.
Insomma, il campo semantico del termine inglese è così ampio rispetto a quello
della parola italiana, che i due non sono affatto intercambiabili e una
traduzione di idiosyncrasy con
‘idiosincrasia’ è semplicemente scorretta.
Prendiamo un altro esempio, forse più lampante:
Fastidious
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Fastidioso
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1 archaic:
scornful
2 a: having high and often
capricious standards: difficult to please
<critics…so fastidious that they can talk only
to a small circle of initiates - Granville Hicks> b:
showing or demanding excessive delicacy or care c: reflecting a
meticulous, sensitive, or demanding attitude <fastidious workmanship>
3: having complex nutritional requirements <fastidious microorganisms>
|
1a che dà
fastidio: una persona fastidiosa,
un lavoro, un rumore f.
1b lett. disgustoso, ripugnante: elle rigavan
lor di sangue il volto, | che...
| da fastidiosi vermi era ricolto (Dante)
2 di qcn., che si infastidisce facilmente, insofferente
| sofisticato,
schizzinoso
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Merriam-Websters
Dictionary
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Dizionario De Mauro
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Lasciando perdere le definizioni arcaiche o letterarie, la differenza di
significato si commenta da sé. Ammesso di non conoscere la parola e di
trovarsela di fronte in un contesto appropriato, difficilmente si dovrebbe
essere tratti in inganno, fraintendendone il significato. Che ciò possa
succedere non è però da escludere a priori.
Errare humanum est.
Non tutti gli esempi sono tuttavia così netti ed evidenti: prendiamo il caso di
formidable (inglese) e formidabile (italiano).
Formidable
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Formidabile
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1: causing fear, dread, or
apprehension <a formidable
prospect>
2: having qualities that
discourage approach or attack
3: tending to inspire awe or
wonder: impressive
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1
potentissimo, imponente: un f. esercito | estens., fortissimo: con un colpo f. il
pugile ha abbattuto l’avversario
2 eccezionale,
che suscita ammirazione: un f. talento musicale, un intuito f. | bravissimo: sei stato f., li hai battuti
tutti
3 obs. lett. spaventoso, tremendo: col suon del
formidabil corno | avea cacciato il
populo infedele (Ariosto)
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Merriam-Websters
Dictionary
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Dizionario De Mauro
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Osservando le definizioni dei dizionari citati scopriamo, non senza un certo
interesse, che se la definizione numero 3 inglese coincide con la numero 2
italiana, la definizione numero 1 inglese, che essendo la prima è anche la più
comune in quella lingua, in italiano (numero 3) risulta obsoleta e letteraria.
La numero 2 inglese e la numero 1 italiana, poi, hanno forse solo un 50% a che
spartire. Questa serie di fattori dovrebbe spingere il traduttore onesto se non
altro a soffermarsi un poco sulla scelta più idonea da farsi nel tradurre il
termine e, idealmente, a operare con giudizio la scelta terminologica più
fedele, onde evitare di scrivere qualche cosa di sconsiderato o grossolanamente
errato.
Come detto in precedenza, non sempre (e difficilmente) le differenze sono
totali. Più spesso ci troviamo di fronte a sfumature, a volte anche sostanziali,
considerevoli e soprattutto determinanti. Ma comunque sfumature. L’importante è
saperle cogliere.
La lista di esempi potrebbe essere lunghissima. Per chi volesse ulteriormente
dilettarsi con questo che potremmo chiamare uno studio comparato delle
definizioni, fornisco in allegato un elenco di parole che mi è capitato di dover
correggere durante la revisione di traduzioni italiane di testi inglesi.
L’elenco contiene anche alcune parole inglesi entrate nell’uso italiano, dove
hanno subito una mutazione semantica. L’uso di questo elenco è puramente
facoltativo e sarebbe sufficiente per chiunque aprire un dizionario inglese,
prendere una qualsiasi parola di origine latina giunta in quella lingua
attraverso il francese e raffrontarne le definizioni con la corrispondente
italiana. Oppure, per fare l’esercizio opposto, aprire un dizionario italiano,
scovare le ormai numerosissime parole inglesi entrate nel nostro uso comune e
scoprire se, come e quanto hanno subito una variazione di significato.
Un simile esercizio non sarebbe ozioso, poiché non solo porterebbe
all’apprendimento di cose nuove e interessanti, ma soprattutto, cosa ben più
importante, produrrebbe un affinamento
dell’indispensabile sensibilità nel riconoscere i falsi amici e una maggiore
consapevolezza della loro esistenza. Ovvero, per usare un detto inglese,
consentirebbe di capire che in questo campo più spesso di quanto non sembri
there is more to it than meets the eye.
Lo sviluppo di una simile sensibilità è palesemente una condizione
indispensabile non solo per comprendere veramente quanto si sta leggendo, ma per
saper tradurre correttamente un testo.
Ciò detto… manca ancora qualcosa. Si era parlato all’inizio di una “ipotesi di
sistema pratico per cercare di evitare” questi errori. La prima parte di tale
sistema consiste precisamente nell’affinamento della propria sensibilità, come
abbiamo appena detto. La seconda in un lavoro certosino guidato
dall’autodisciplina che potrebbe all’inizio parere lungo, noioso e forse
inutile, ma che in realtà sfocia sul breve, e non lungo termine, come potrebbe
invece sembrare, nella maturazione di una conoscenza pratica di uso immediato
che accelererà la resa in termini di parole correttamente tradotte per unità di
tempo. Sarà in pratica sufficiente armarsi di pazienza e operare il raffronto
delle definizioni per ogni potenziale falso amico incontrato nel corso delle
proprie letture o del proprio lavoro. Sottolineo potenziale e dico meglio:
qualsiasi termine di chiara origine latina che ci si senta tentati più o meno
intensamente di tradurre con il corrispondente, o presunto tale, in lingua
italiana. O anche solo qualsiasi coppia di termini di questo genere sulle cui
definizioni si nutra una minima incertezza. In breve tempo, e sicuramente prima
di quanto non si potrebbe essere inclini a pensare, si sarà sviluppata non solo
una forte sensibilità preventiva (quella necessaria per non farsi trarre in
inganno), ma si sarà anche acquisito un vocabolario bilingue chiaro e di
dimensioni non indifferenti che, diventato patrimonio del proprio sapere,
tornerà utile in qualsiasi momento.
Elenco di parole su cui esercitarsi per un raffronto delle definizioni. Per
rendere l'esercizio quanto più proficuo si consiglia, per ogni coppia di
termini, di quantificare il grado di corrispondenza o diversità utilizzando il
metodo che risulta più congeniale (percentuale, numero di definizioni, ecc.)
http://en.wikipedia.org/wiki/Lists_of_English_words_of_international_origin