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Traducibilità e intraducibilità dei termini della green economy

 
 

Spunti di riflessione linguistica, terminologica e culturale

 
 

Cristina Dodich - Traduttrice e Interprete freelance, Associata ANITI

 
     
     
 

 

È possibile parlare di traducibilità o, per contro, di intraducibilità dei termini della green economy?

Probabilmente, a nessuno di noi, leggendo un qualsiasi articolo di giornale, ascoltando notiziari o programmi ambientalistici o “impegnati” in tal senso, o ancora, scorrendo i milioni di pagine Internet dedicate al trend economico di questi ultimi anni, verrebbe di primo acchito in mente di pensare al proprio livello di comprensione dei termini impiegati. Il nuovo orientamento economico votato al rispetto dell’ambiente è fortemente connesso all’innovazione tecnologica, e chi fa innovazione tecnologica tende non solo a creare nuovi prodotti, ma anche a creare nuove presentazioni e nuovi termini per definire gli stessi. La lingua inglese risulta particolarmente predisposta in tal senso, proprio per quella sua “agilità” che nella word formation la porta alla creazione di sincrasi portatrici di significati spesso concentrati. Basti pensare al termine cardine di questo articolo e di tanti processi economici scaturiti dal Protocollo di Kyoto sottoscritto nel 1997, vale a dire green economy. Questa associazione sintagmatica, decisamente trasparente nel suo significato a coloro che sono avvezzi non soltanto alla lingua, ma anche alla cultura dei Paesi anglofoni, e falsamente trasparente ai più [1], risulta in un’opera di traduzione davvero difficile da rendere nella lingua italiana. Infatti, benché il termine economy non offra problematiche particolari per la sua traduzione con il termine ‘economia’, per contro l’aggettivo green risulta, linguisticamente parlando, di difficile traduzione nella lingua italiana, poiché nel nostro Paese non è possibile parlare di “economia verde” [2], in quanto per noi prevarrebbe l’idea del colore in quanto tale, senza quella connotazione di rispetto e tutela ambientale insita invece culturalmente nell’aggettivo inglese. L’aggettivo green, infatti, nelle culture anglofone indica sia qualcosa di youthful, vigorous, ‘giovane’ e ‘vigoroso’ [3], ma anche «relating to or concerned with environmental and ecological issues and the conservation of the world’s natural resources» [4], dunque legato alla terra e all’ambiente, ma anche all’idea di qualità [5].

Paradossalmente, nel nostro idioma il colore verde ha una connotazione negativa ed è per lo più associato a qualcosa di immaturo, oppure al livore e all’invidia [6], mentre ciò che trasmette l’idea di un cielo pulito e del rispetto dell’ambiente è invece il colore blu. Occorre qui puntualizzare il fatto che nella mentalità anglosassone il blu rimanda per contrasto al sentimento della tristezza. Pertanto, le due culture, quella anglofona e quella italiana, in un certo qual senso non si parlano, in quanto uno stesso concetto culturale viene trasmesso su due canali non soltanto differenti, ma con portate di significato quasi antitetiche se esaminati singolarmente.

In conseguenza di ciò, questo come tanti altri termini composti afferenti alla green economy risultano quasi intraducibili, tanto da essere spesso ripresi nella nostra lingua sotto forma di prestito linguistico. Ciò vale infatti anche per altri sintagmi quali green building, green materials, green reasons, green technology, … e naturalmente un’infinità di altri termini. Poiché per il traduttore professionista non esiste però la possibilità di parlare di intraducibilità [7], questi deve, nel momento stesso in cui si trova di fronte a un termine il cui significato è pressoché lapalissiano, ma non traducibile con un termine o una concisa dicitura equivalente nella Target Language, operare una scelta: può decidere di lasciare il termine non tradotto ricorrendo a un prestito linguistico, oppure può pensare di fornire una spiegazione aiutandosi con una lunga locuzione di parole per rendere il concetto del termine source; altra possibilità di scelta, in taluni casi, è l’utilizzo dell’aggettivo composito “eco-sostenibile” [8]. Ecco allora l’‘edilizia ecosostenibile’, la green building, i ‘materiali ecosostenibili’ o green materials, la ‘tecnologia ecosostenibile’, green technology … Non occorre qui fornire nessuna ulteriore spiegazione rispetto a quanto già osservato più sopra in merito alle ragioni del mancato utilizzo di una traduzione letterale del tipo “materiali verdi”, “edilizia verde”, o “ecologia verde” che nulla comunicherebbero a un destinatario di madrelingua italiana. Per quanto attiene invece le green reasons, si potrebbe parlare di ‘motivazioni ecologiche’ (senz’altro, ancora una volta, non “motivazioni verdi”), questo ovviamente tenendo sempre ben conto dell’importanza di saussuriana memoria del contesto del termine in riferimento. In altri casi, l’aggettivo green trova altre traduzioni. Ad esempio, in campo navale alcune innovazioni ci parlano di zero emission vessel, ‘imbarcazioni a zero emissioni di materiali inquinanti’, in quanto dotati di green propulsion, ‘sistemi di propulsione rispettosi dell’ambiente’. Siamo qui nel campo dell’intraducibilità strictu sensu. Non è infatti possibile né prendere a prestito il termine anglofono, in quanto nulla comunicherebbe ai non addetti ai lavori, né tentare una traduzione letterale, del tipo ‘propulsione verde’, che ancora una volta risulterebbe vuota di significato per quanto attiene la componente aggettivale dello stesso.

Tenendo sempre in considerazione l’impiego dell’aggettivo green, è possibile fare un breve accenno ai green job e ai green collar, entrambe forme scaturite in seno ai trend economici degli ultimi anni. Per il secondo termine, è possibile accennare a una traduzione letterale, ‘colletti verdi’, ma è comunque opportuno tenere ancora una volta in considerazione la valenza culturale anglofona, non trasferibile nella nostra cultura, per la quale nei Paesi anglosassoni i white collar sono coloro che svolgono mansioni d’ufficio, mentre i blue collar svolgono un lavoro manuale, operaio. Con una sorta di calco intralinguistico [9], la lingua inglese ha coniato un nuovo termine a definizione di coloro che svolgono lavori con valenza ambientale oppure connessi al rispetto dell’ambiente. Nella nostra lingua, non è possibile parlare di ‘lavori verdi’, anche se tale traduzione si va diffondendo in rete. Qualora si voglia impiegare il termine inglese in un qualsiasi contesto in lingua italiana, il traduttore deve assicurarsi che esso possa risultare comprensibile, oppure procedere con le debite spiegazioni, in caso di destinatari non avvezzi alla cultura della lingua sorgente. Per ovviare all’eventuale forzatura traduttiva, è possibile parlare piuttosto di “lavori con valenza ambientale” o “connessi al rispetto dell’ambiente” [10]. La traduzione letterale garantisce l’agilità sintattica; la spiegazione garantisce la trasmissione semantica, concettuale e culturale. Sta al traduttore operare le scelte del caso.

Un ulteriore esempio dell’utilizzo dell’aggettivo green è green thinking, il ‘pensare verde’, o più giustamente per noi, il ‘pensare all’ambiente’ con conseguenti rispetto e tutela dello stesso. Questa associazione sintagmatica è nuovamente comprensibile solo a chi sia di lingua anglofona oppure ben a conoscenza del fatto che l’inglese, in linea con la propria abitudine culturale che associa colori e stati d’animo, possiede la dicitura think pink, ‘pensa positivo’, nella quale appunto il colore rosa, in contrasto con il blu, è associato all’ottimismo. Ancora una volta, con una sorta di calco intralinguistico, si è passati da think pink al think green [11]: la costruzione è la stessa, ma cambia il colore e, per associazione di idee, è possibile desumere il significato intrinseco del rispetto ambientale.

In un’ottica di rispetto per l’ambiente che ci circonda e di pensiero alle scorie che lasciamo sul nostro pianeta, possiamo pensare a termini quali carbon footprint, ‘impronta al/di carbonio’, che sta a indicare la somma totale delle emissioni di gas serra di ogni singolo individuo e delle sue azioni e attività, solitamente espressa per anno. Anche in questo caso, siamo nell’ambito dell’intraducibilità, non tanto questa volta per una differenza culturale di termini e traducenti, quanto piuttosto per differenze di agilità linguistica: la word formation tipica della lingua inglese porta a combinazioni di più sostantivi o di aggettivi e sostantivi, combinazioni che risultano portatrici di grosse porzioni concettuali e di significato. Nella nostra lingua, tali porzioni concettuali devono invece poggiare sullo sviluppo sintattico talvolta ridondante e su un preciso utilizzo di locuzioni, preposizioni e avverbi. Anche un termine quale carbon offsetting risulta intraducibile in senso stretto: esso indica la compensazione a fronte delle nostre inevitabili emissioni di anidride carbonica attuata mediante versamenti in denaro a organizzazioni internazionali che fungono da intermediari e investono in progetti di riduzione dei gas serra in atmosfera. Il verbo offset, mediato in questo caso dalla finanza, rende appunto l’idea della compensazione di qualcosa mediante qualcos’altro [12]. Di conseguenza, tale termine viene per lo più impiegato come prestito linguistico e risulta decisamente opaco ai più.

Passando a termini più strettamente tecnologici, è possibile indagare, tra i vari settori, quello dell’energia. In questo campo, troviamo ad esempio il termine feed-in tariff che viene preso direttamente a prestito dalla lingua inglese e impiegato come tale dai gestori dell’energia anche nel nostro Paese. Le feed-in tariff non sono altro che “tariffe agevolate” [13] praticate a chi installa in adiacenza ai locali di sua proprietà pannelli fotovoltaici atti a produrre non solo l’energia elettrica direttamente necessaria e sufficiente per il fabbisogno giornaliero, ma anche un surplus di energia che viene inserita in rete, con il conseguente abbassamento delle bollette per il consumo di energia elettrica. Anche in questo caso, siamo nel campo dell’intraducibilità intesa come traduzione termine per termine: per fare comprendere il significato di queste poche parole della lingua inglese che risultano ovviamente opache all’utente comune in Italia, è necessario ricorrere a una spiegazione che non risulta peraltro neppure breve.

Sempre nell’ambito della gestione dell’energia elettrica, potremmo ricordare anche altri termini quali smart meter, che viene solitamente tradotto con ‘contatore intelligente’, anche se in questa traduzione si perde parte delle connotazioni dell’aggettivo smart. Mentre infatti in inglese, oltre alla connotazione relativa all’intelligenza, vi sono anche quelle relative alla prontezza di spirito, all’arguzia, all’eleganza e al funzionamento automatico [14], esse non vengono completamente trasferite in questa traduzione un po’ forzata. Lo stesso dicasi per la smart grid, la ‘rete intelligente’ cui sono collegati tutti i contatori smart.

 

Pur non avendo ovviamente esaurito il campo della green economy per quanto attiene un’analisi a livello di traducibilità o intraducibilità dei suoi termini, vorrei semplicemente accennare, per motivi di spazio a disposizione, all’analisi di alcuni acronimi.

In generale, la traduzione degli acronimi non si rivela facile, in quanto essi indicano di solito prodotti, processi o istituzioni di nuova creazione e non si dimostrano pertanto trasparenti a livello interculturale e, soprattutto a livello di impiego strettamente tecnologico o di acronimi di rilevanza e importanza internazionale, sarà necessario trasporre direttamente gli stessi anche nella lingua di arrivo. Infatti, in questo come nel caso in cui essi risultino più importanti nella Source Language che nella Target Language, dunque ancora una volta opachi ai più, non sarà possibile ricrearli nella lingua di arrivo, in quanto non avrebbero senso alcuno. Il traduttore dovrà ricorrere a spiegazioni e a descrizioni tali da renderli comprensibili e trasparenti ai destinatari della loro opera [15].

Nel campo della produzione e dell’utilizzo dell’energia elettrica, è possibile citare ad esempio PV, acronimo di photovoltaic, ‘fotovoltaico’. In questo caso, l’acronimo inglese non è trasferibile o traducibile con un altro acronimo nella lingua italiana. Il traduttore dovrà necessariamente riportare per esteso la traduzione del termine source di riferimento e mantenere, soprattutto in caso di testi di descrizione e informazione tecnologica, l’acronimo originale.

Se invece pensiamo all’emissione di particelle inquinanti, è possibile citare ZEV, acronimo di Zero Emission Vehicle, che in italiano non trova alcuna forma di trasposizione. Pertanto, per renderlo, è anche in questo caso necessario operare la traduzione della sua spiegazione, vale a dire ‘veicolo a zero emissioni’ o ‘veicolo a emissioni zero’.

Per quanto attiene le emissioni di “gas inquinanti”, comunemente detti anche “gas serra”, in lingua inglese troviamo l’acronimo GHG che sta appunto per GreenHouse Gases. In questo caso, possiamo dire che una delle due traduzioni in lingua italiana ricalca perfettamente la definizione inglese.

Nel campo del rispetto ambientale e dell’eliminazione delle scorie, potremmo citare l’acronimo RRR in sostituzione dei tre termini Refuse, Reuse, Recycle. Queste tre lettere ripetute indicano un’incitazione rivolta a noi in qualità di utenti: dovremmo ‘rifiutare’, refuse, tutto quanto non è riutilizzabile o riciclabile (in particolar modo gli imballi non riciclabili e fortemente inquinanti, soprattutto di cibi); dovremmo cercare di ‘riutilizzare’, reuse, quanto più possibile tutti gli oggetti che abbiamo intorno e dei quali ci serviamo; ancora, dovremmo ‘riciclare’, recycle, quanto più possibile ogni oggetto divenuto inservibile quanto alla sua funzione principale e originaria. Questo tipo di acronimo non trova ancora molto utilizzo nella nostra cultura, e dunque tanto meno ne esistono traduzioni. Esiste invece una versione leggermente modificata, “Riduci, Riutilizza, Ricicla” che peraltro trova un corrispondente nella lingua inglese in Reduce, Reuse, Recycle. Tuttavia, anche in questo caso, ci si riferisce per lo più a una riduzione di tutto quanto possa essere superfluo, imballaggi inclusi; le esplicitazioni dei due acronimi risultano pertanto quasi perfettamente sinonime. Non è possibile qui, per ovvie ragioni di spazio, addentrarsi nell’ambito del riciclo, così ricco di termini e acronimi particolari e specifici.

Pertanto vorrei passare a un altro acronimo ampiamente usato nella lingua italiana nella sua forma originale: FSC che sta per Forest Stewardship Council. Esso costituisce il tipico esempio di intraducibilità di un acronimo. Infatti, pur essendo presente oramai sulla maggior parte degli imballi in carta dei più autorevoli produttori del settore [16], ed essendo un acronimo di rilevanza internazionale, non trova una sua forma traducibile nella lingua italiana, neppure per quanto attiene la sua forma estesa. Sugli imballi presenti sugli scaffali della maggior parte di negozi, supermercati e ipermercati del nostro Paese, questo acronimo, corredato di logo, viene accompagnato da spiegazioni del tipo “prodotto realizzato con legname proveniente da foreste correttamente gestite” [17]. Ma anche questo campo, quello di loghi e diciture a valenza di tutela ambientale presenti su ogni tipo di imballo, è un altro settore sul quale occorrerebbe indagare a fondo. Per chiudere questo piccolo cerchio di trattazione della traducibilità o intraducibilità dei termini della green economy, vorrei citare solo un ultimo acronimo, ultimo ovviamente non quanto a numero o rilevanza: si tratta di GESDPE - Green Economy [for] Sustainable Development and Poverty Eradication. Leggendo sia quanto stabilito dallo United Nations Environment Programme [18], sia la presentazione della prossima Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che si terrà a Rio de Janeiro a giugno 2012 [19], si viene a comprendere appieno quanto a più voci affermato: il concetto di green economy non è pienamente condiviso tra i vari Paesi, nel senso che ognuno di essi vi attribuisce diverse accezioni, applicando di conseguenza strategie e politiche differenti. Ciò che però risulta estremamente importante e comune a tutte le definizioni green è il fatto che la green economy, questa nuova ‘economia pulita’ [20], deve essere volta a garantire uno sviluppo sostenibile e a diminuire le sacche di povertà nel mondo. Ed ecco appunto l’utilizzo in tal senso dell’acronimo GESDPE, vale a dire Green Economy [for] Sustainable Development and Poverty Eradication. Questo acronimo, di recentissimo conio, non trova ancora utilizzo nella lingua italiana [21], né per quanto attiene un eventuale e semplice prestito linguistico, né per quanto riguarda una qualsivoglia forma di traduzione: in effetti, anche traducendo la formula estesa di questo acronimo, non riusciremmo a rendere il valore e la portata che si vogliono culturalmente attribuire alla green economy non solo a livello ambientale ed economico, ma anche a livello sociale.

Una volta presentati questi pochi esempi che tuttavia spero possano essere esemplificativi, vorrei specificare che chi si trova oggi a dovere tradurre testi in un qualsivoglia modo connessi alla green economy e pertanto permeati della sua terminologia, dovrà in primo luogo cercare di circoscrivere il settore e quanto meno l’ambito di applicazione del documento sul quale si trova a operare, e conseguentemente documentarsi a fondo (cosa ovviamente non nuova a chi si occupa di traduzione) in entrambe le lingue Target e Source, cercando di diventare esperto di quel se, cercando di diventare esperto di quel settore o ambito a livello terminologico. Oltre ai più tradizionali canali di documentazione scritta, Internet costituisce un’ottima e veloce fonte dalla quale trarre non soltanto terminologia [22], ma anche fonti affidabili a livello tecnologico, sebbene il traduttore esperto dovrà farsi strada in quella che oramai è divenuta una “giungla terminologica”. Dovrà formulare le proprie ipotesi e validarle a livello comparativo su testi esistenti (anche se non parallelamente l’uno all’altro). Laddove la terminologia inglese risulti molto compatta e portatrice di più e più ampi contenuti semantici, dovrà verificare se non sia meglio una locuzione esplicativa in sostituzione di una traduzione letterale. Laddove il termine sorgente sia invece di uso comune anche nella lingua di arrivo (occorrerà fare una verifica accurata delle occorrenze), dovrà eventualmente spiegarne il significato una prima volta e poi mantenere il termine originale, facendo sempre ovviamente ogni debita valutazione in merito ai destinatari della sua traduzione. Di certo, il buon traduttore non potrà segnalare nessun termine come ndable o untranslatable [23], sebbene davvero a volte sia ben difficile trovare agganci tecnologici o culturali.  

 

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[1] Cfr. in proposito anche Osimo, Bruno, Propedeutica della Traduzione – Corso introduttivo con tabelle sinottiche, Seconda Edizione, Hoepli, 2010, pagg. 3-5.

[2] Anche se questa traduzione, ‘economia verde’, è in realtà l’unica forma accettata e circolante sia a livello di comunicazione orale che di documenti scritti, quando non viene presa a prestito la terminologia anglofona.

[3] Cfr. Dictionary of the English Language, Major New Edition, Longman Dictionaries, Longman, 1991, pag. 691.

[4] Ibidem.

[5] De Bortoli Mario, Maroto Jesús, Translating Colours in Web Site Localisation, European Languages and the Implementation of Communication and Information Technologies (Elicit) Conference (Proceedings), University of Paisley, 2001.

[6] Cfr. Devoto, G., Oli G.C., Vocabolario Illustrato della Lingua Italiana, Selezione dal Readers’ Digest, Vol. II (M-Z), 1985, pagg. 1506-1507.

[7] Cfr. Newmark, Peter, A Textbook of Translation, Prentice Hall International English Language Teaching, Prentice Hall, 1988: «To write off as “untranslatable” a word whose meaning cannot be rendered literally and precisely by another word is absurd, particularly when it could at least be better delineated by componential analysis into four of five words, though as a footnote, not in the text […].»

[8] Nella sua opera A Textbook of Translation, Peter Newmark sostiene a più riprese che l’utilizzo di morfemi di origine greca e latina costituisce un notevole sostegno all’opera del traduttore, in quanto tali morfemi accomunano molte delle lingue occidentali: non solo le lingue romanze, ma la stessa lingua inglese, così fortemente permeata di termini di derivazione greco-latina.

[9] Cfr. Dodich, Cristina, “The new green economy: going green is now a must – Dal Protocollo di Kyoto a nuove tecnologie, nuove politiche di Stati e governanti, nuove forme di investimento. Le problematiche del surriscaldamento globale e del cambiamento climatico hanno modificato politiche, abitudini e forme terminologiche. L’impiego dell’aggettivo green rivela e svela in ogni campo e settore.”, http://www.englishfor.it/rivista_indice_2_08.asp.it

[10] Occorre qui specificare che i green job possono corrispondere sia a lavori di ufficio che a lavori manuali; ciò che importa è la loro valenza ambientale.

[11] Variante di green thinking.

[12] http://www.merriam-webster.com/dictionary/offset?show=1&t=1324676702: «to place over against something: balance <credits offset debits>».

[13] Questa traduzione viene spesso associata al termine feed-in per convogliare nell’utente o lettore l’idea del risparmio economico.

[14] Cfr. http://www.merriam-webster.com/dictionary/smart

[15] Cfr., in proposito, Newmark, P., op. cit., pagg. 148, 200-201.

[16] A volte anche in un’ottica di greenwashing atta a rendere i prodotti più “appetibili”. Per una definizione di greenwashing, vedasi http://www.englishfor.it/wd_novembre_2011.asp

[17] Cfr. ad esempio http://www.catenadicustodia.it

[18] http://www.unep.org/greeneconomy/

[19] http://www.uncsd2012.org/rio20/index.php?page=view&type=12&nr=88&area=1&menu=21&questionnaire=4: «While the term “green economy in the context of sustainable development and poverty eradication” (GESDPE) is gaining recognition among policy makers, most responses indicated that so far there is no common understanding or agreed definition of the concept. However, different national policies were identified as consistent with the concept. […] Ultimately, it was agreed that “green economy” is an outcome-oriented concept that is deliberately aimed at improving human well-being without undermining the resource-base that current and future generations depend on for their livelihoods. […] Differences exist on the relative emphasis to be accorded different types of ‘green economy’ policies – e.g., internalization of environmental externalities in prices, taxes and subsidies, public expenditures on green infrastructure and technologies, etc. – but there is broad agreement that some sectors clearly belong in any working definition of a green economy, including renewable energy and energy and material efficiency improvements, and sustainable buildings, and many agree on the importance of a supportive fiscal policy framework. […]

[20] Talvolta, la green economy viene infatti definita clean economy.

[21] Tranne, ovviamente, che in trattazioni specifiche a livello di organizzazioni internazionali.

[22] Soprattutto per quanto attiene i neologismi tecnici e tecnologici che nascono, si riproducono e a volte muoiono tanto rapidamente quanto l’evoluzione tecnologica stessa.

[23] Cfr. Newmark, P. op. cit.

 
     
 
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