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È possibile parlare di traducibilità o, per contro, di intraducibilità dei
termini della green economy?
Probabilmente, a nessuno di noi, leggendo un qualsiasi articolo di giornale,
ascoltando notiziari o programmi ambientalistici o “impegnati” in tal senso, o
ancora, scorrendo i milioni di pagine Internet dedicate al trend economico di
questi ultimi anni, verrebbe di primo acchito in mente di pensare al proprio
livello di comprensione dei termini impiegati. Il nuovo orientamento economico
votato al rispetto dell’ambiente è fortemente connesso all’innovazione
tecnologica, e chi fa innovazione tecnologica tende non solo a creare nuovi
prodotti, ma anche a creare nuove presentazioni e nuovi termini per definire gli
stessi. La lingua inglese risulta particolarmente predisposta in tal senso,
proprio per quella sua “agilità” che nella
word formation la porta alla creazione di sincrasi portatrici di significati
spesso concentrati. Basti pensare al termine cardine di questo articolo e di
tanti processi economici scaturiti dal Protocollo di Kyoto sottoscritto nel
1997, vale a dire green economy.
Questa associazione sintagmatica, decisamente trasparente nel suo significato a
coloro che sono avvezzi non soltanto alla lingua, ma anche alla cultura dei
Paesi anglofoni, e falsamente trasparente ai più [1], risulta in
un’opera di traduzione davvero difficile da rendere nella lingua italiana.
Infatti, benché il termine economy non
offra problematiche particolari per la sua traduzione con il termine ‘economia’,
per contro l’aggettivo green risulta,
linguisticamente parlando, di difficile traduzione nella lingua italiana, poiché
nel nostro Paese non è possibile parlare di “economia verde” [2], in quanto per
noi prevarrebbe l’idea del colore in quanto tale, senza quella connotazione di
rispetto e tutela ambientale insita invece culturalmente nell’aggettivo inglese.
L’aggettivo
green, infatti, nelle culture
anglofone indica sia qualcosa di youthful, vigorous, ‘giovane’ e ‘vigoroso’ [3], ma anche «relating to or concerned with
environmental and ecological issues and the conservation of the world’s natural
resources» [4], dunque legato alla terra e all’ambiente, ma anche all’idea
di qualità [5].
Paradossalmente, nel nostro idioma il colore verde ha una connotazione negativa
ed è per lo più associato a qualcosa di immaturo, oppure al livore e all’invidia [6],
mentre ciò che trasmette l’idea di un cielo pulito e del rispetto dell’ambiente
è invece il colore blu. Occorre qui puntualizzare il fatto che nella mentalità
anglosassone il blu rimanda per contrasto al sentimento della tristezza.
Pertanto, le due culture, quella anglofona e quella italiana, in un certo qual
senso non si parlano, in quanto uno stesso concetto culturale viene trasmesso su
due canali non soltanto differenti, ma con portate di significato quasi
antitetiche se esaminati singolarmente.
In conseguenza di ciò, questo come tanti altri termini composti afferenti alla
green economy risultano quasi
intraducibili, tanto da essere spesso ripresi nella nostra lingua sotto forma di
prestito linguistico. Ciò vale infatti anche per altri sintagmi quali
green building,
green materials, green reasons,
green technology, … e naturalmente
un’infinità di altri termini. Poiché per il traduttore professionista non esiste
però la possibilità di parlare di intraducibilità [7], questi deve,
nel momento stesso in cui si trova di fronte a un termine il cui significato è
pressoché lapalissiano, ma non traducibile con un termine o una concisa dicitura
equivalente nella Target Language,
operare una scelta: può decidere di lasciare il termine non tradotto ricorrendo
a un prestito linguistico, oppure può pensare di fornire una spiegazione
aiutandosi con una lunga locuzione di parole per rendere il concetto del termine
source; altra possibilità di scelta,
in taluni casi, è l’utilizzo dell’aggettivo composito “eco-sostenibile” [8].
Ecco allora l’‘edilizia ecosostenibile’, la
green building, i ‘materiali
ecosostenibili’ o green materials, la
‘tecnologia ecosostenibile’, green technology … Non occorre qui fornire nessuna ulteriore spiegazione rispetto a
quanto già osservato più sopra in merito alle ragioni del mancato utilizzo di
una traduzione letterale del tipo “materiali verdi”, “edilizia verde”, o
“ecologia verde” che nulla comunicherebbero a un destinatario di madrelingua
italiana. Per quanto attiene invece le
green reasons, si potrebbe parlare di ‘motivazioni ecologiche’ (senz’altro,
ancora una volta, non “motivazioni verdi”), questo ovviamente tenendo sempre ben
conto dell’importanza di saussuriana memoria del contesto del termine in
riferimento. In altri casi, l’aggettivo
green trova altre traduzioni. Ad esempio, in campo navale alcune innovazioni
ci parlano di zero emission vessel,
‘imbarcazioni a zero emissioni di materiali inquinanti’, in quanto dotati di
green propulsion, ‘sistemi di
propulsione rispettosi dell’ambiente’. Siamo qui nel campo dell’intraducibilità
strictu sensu. Non è infatti possibile né prendere a prestito il termine anglofono,
in quanto nulla comunicherebbe ai non addetti ai lavori, né tentare una
traduzione letterale, del tipo ‘propulsione verde’, che ancora una volta
risulterebbe vuota di significato per quanto attiene la componente aggettivale
dello stesso.
Tenendo sempre in considerazione l’impiego dell’aggettivo
green, è possibile fare un breve
accenno ai green job e ai
green collar, entrambe forme scaturite
in seno ai trend economici degli ultimi anni. Per il secondo termine, è
possibile accennare a una traduzione letterale, ‘colletti verdi’, ma è comunque
opportuno tenere ancora una volta in considerazione la valenza culturale
anglofona, non trasferibile nella nostra cultura, per la quale nei Paesi
anglosassoni i white collar sono
coloro che svolgono mansioni d’ufficio, mentre i
blue collar svolgono un lavoro manuale, operaio. Con una sorta di calco intralinguistico [9],
la lingua inglese ha coniato un nuovo termine a definizione di coloro che
svolgono lavori con valenza ambientale oppure connessi al rispetto
dell’ambiente. Nella nostra lingua, non è possibile parlare di ‘lavori verdi’,
anche se tale traduzione si va diffondendo in rete. Qualora si voglia impiegare
il termine inglese in un qualsiasi contesto in lingua italiana, il traduttore
deve assicurarsi che esso possa risultare comprensibile, oppure procedere con le
debite spiegazioni, in caso di destinatari non avvezzi alla cultura della lingua
sorgente. Per ovviare all’eventuale forzatura traduttiva, è possibile parlare
piuttosto di “lavori con valenza ambientale” o “connessi al rispetto
dell’ambiente” [10]. La
traduzione letterale garantisce l’agilità sintattica; la spiegazione garantisce
la trasmissione semantica, concettuale e culturale. Sta al traduttore operare le
scelte del caso.
Un ulteriore esempio dell’utilizzo dell’aggettivo
green è
green thinking, il ‘pensare verde’, o
più giustamente per noi, il ‘pensare all’ambiente’ con conseguenti rispetto e
tutela dello stesso. Questa associazione sintagmatica è nuovamente comprensibile
solo a chi sia di lingua anglofona oppure ben a conoscenza del fatto che
l’inglese, in linea con la propria abitudine culturale che associa colori e
stati d’animo, possiede la dicitura think pink, ‘pensa positivo’, nella quale appunto il colore rosa, in contrasto con il
blu, è associato all’ottimismo. Ancora una volta, con una sorta di calco
intralinguistico, si è passati da think pink al think green [11]: la
costruzione è la stessa, ma cambia il colore e, per associazione di idee, è
possibile desumere il significato intrinseco del rispetto ambientale.
In un’ottica di rispetto per l’ambiente che ci circonda e di pensiero alle
scorie che lasciamo sul nostro pianeta, possiamo pensare a termini quali
carbon footprint, ‘impronta al/di carbonio’, che sta a indicare la somma totale delle
emissioni di gas serra di ogni singolo individuo e delle sue azioni e attività,
solitamente espressa per anno. Anche in questo caso, siamo nell’ambito
dell’intraducibilità, non tanto questa volta per una differenza culturale di
termini e traducenti, quanto piuttosto per differenze di agilità linguistica: la
word formation tipica della lingua
inglese porta a combinazioni di più sostantivi o di aggettivi e sostantivi,
combinazioni che risultano portatrici di grosse porzioni concettuali e di
significato. Nella nostra lingua, tali porzioni concettuali devono invece
poggiare sullo sviluppo sintattico talvolta ridondante e su un preciso utilizzo
di locuzioni, preposizioni e avverbi. Anche un termine quale
carbon offsetting risulta
intraducibile in senso stretto: esso indica la compensazione a fronte delle
nostre inevitabili emissioni di anidride carbonica attuata mediante versamenti
in denaro a organizzazioni internazionali che fungono da intermediari e
investono in progetti di riduzione dei gas serra in atmosfera. Il verbo
offset, mediato in questo caso dalla
finanza, rende appunto l’idea della compensazione di qualcosa mediante
qualcos’altro [12]. Di conseguenza, tale termine viene per lo più impiegato
come prestito linguistico e risulta decisamente opaco ai più.
Passando a termini più strettamente tecnologici, è possibile indagare, tra i
vari settori, quello dell’energia. In questo campo, troviamo ad esempio il
termine feed-in tariff che viene preso
direttamente a prestito dalla lingua inglese e impiegato come tale dai gestori
dell’energia anche nel nostro Paese. Le
feed-in tariff non sono altro che “tariffe agevolate” [13] praticate a chi installa in adiacenza ai locali di sua proprietà pannelli
fotovoltaici atti a produrre non solo l’energia elettrica direttamente
necessaria e sufficiente per il fabbisogno giornaliero, ma anche un surplus di
energia che viene inserita in rete, con il conseguente abbassamento delle
bollette per il consumo di energia elettrica. Anche in questo caso, siamo nel
campo dell’intraducibilità intesa come traduzione termine per termine: per fare
comprendere il significato di queste poche parole della lingua inglese che
risultano ovviamente opache all’utente comune in Italia, è necessario ricorrere
a una spiegazione che non risulta peraltro neppure breve.
Sempre nell’ambito della gestione dell’energia elettrica, potremmo ricordare
anche altri termini quali smart meter,
che viene solitamente tradotto con ‘contatore intelligente’, anche se in questa
traduzione si perde parte delle connotazioni dell’aggettivo
smart. Mentre infatti in inglese,
oltre alla connotazione relativa all’intelligenza, vi sono anche quelle relative
alla prontezza di spirito, all’arguzia, all’eleganza e al funzionamento
automatico [14], esse non vengono completamente trasferite in questa
traduzione un po’ forzata. Lo stesso dicasi per la
smart grid, la ‘rete intelligente’ cui
sono collegati tutti i contatori smart.
Pur non avendo ovviamente esaurito il campo della
green economy per quanto attiene
un’analisi a livello di traducibilità o intraducibilità dei suoi termini, vorrei
semplicemente accennare, per motivi di spazio a disposizione, all’analisi di
alcuni acronimi.
In generale, la traduzione degli acronimi non si rivela facile, in quanto essi
indicano di solito prodotti, processi o istituzioni di nuova creazione e non si
dimostrano pertanto trasparenti a livello interculturale e, soprattutto a
livello di impiego strettamente tecnologico o di acronimi di rilevanza e
importanza internazionale, sarà necessario trasporre direttamente gli stessi
anche nella lingua di arrivo. Infatti, in questo come nel caso in cui essi
risultino più importanti nella Source
Language che nella Target Language,
dunque ancora una volta opachi ai più, non sarà possibile ricrearli nella lingua
di arrivo, in quanto non avrebbero senso alcuno. Il traduttore dovrà ricorrere a
spiegazioni e a descrizioni tali da renderli comprensibili e trasparenti ai
destinatari della loro opera [15].
Nel campo della produzione e dell’utilizzo dell’energia elettrica, è possibile
citare ad esempio PV, acronimo di
photovoltaic, ‘fotovoltaico’. In questo caso, l’acronimo inglese non è
trasferibile o traducibile con un altro acronimo nella lingua italiana. Il
traduttore dovrà necessariamente riportare per esteso la traduzione del termine
source di riferimento e mantenere,
soprattutto in caso di testi di descrizione e informazione tecnologica,
l’acronimo originale.
Se invece pensiamo all’emissione di particelle inquinanti, è possibile citare
ZEV, acronimo di Zero Emission Vehicle,
che in italiano non trova alcuna forma di trasposizione. Pertanto, per renderlo,
è anche in questo caso necessario operare la traduzione della sua spiegazione,
vale a dire ‘veicolo a zero emissioni’ o ‘veicolo a emissioni zero’.
Per quanto attiene le emissioni di “gas inquinanti”, comunemente detti anche
“gas serra”, in lingua inglese troviamo l’acronimo GHG che sta appunto per
GreenHouse Gases. In questo caso,
possiamo dire che una delle due traduzioni in lingua italiana ricalca
perfettamente la definizione inglese.
Nel campo del rispetto ambientale e dell’eliminazione delle scorie, potremmo
citare l’acronimo RRR in sostituzione dei tre termini Refuse, Reuse,
Recycle. Queste tre lettere ripetute indicano un’incitazione rivolta a
noi in qualità di utenti: dovremmo ‘rifiutare’,
refuse, tutto quanto non è
riutilizzabile o riciclabile (in particolar modo gli imballi non riciclabili e
fortemente inquinanti, soprattutto di cibi); dovremmo cercare di ‘riutilizzare’,
reuse, quanto più possibile tutti gli
oggetti che abbiamo intorno e dei quali ci serviamo; ancora, dovremmo
‘riciclare’, recycle, quanto più
possibile ogni oggetto divenuto inservibile quanto alla sua funzione principale
e originaria. Questo tipo di acronimo non trova ancora molto utilizzo nella
nostra cultura, e dunque tanto meno ne esistono traduzioni. Esiste invece una
versione leggermente modificata, “Riduci, Riutilizza, Ricicla” che peraltro
trova un corrispondente nella lingua inglese in
Reduce, Reuse, Recycle. Tuttavia,
anche in questo caso, ci si riferisce per lo più a una riduzione di tutto quanto
possa essere superfluo, imballaggi inclusi; le esplicitazioni dei due acronimi
risultano pertanto quasi perfettamente sinonime. Non è possibile qui, per ovvie
ragioni di spazio, addentrarsi nell’ambito del riciclo, così ricco di termini e
acronimi particolari e specifici.
Pertanto vorrei passare a un altro acronimo ampiamente usato nella lingua
italiana nella sua forma originale: FSC che sta per
Forest Stewardship Council. Esso
costituisce il tipico esempio di intraducibilità di un acronimo. Infatti, pur
essendo presente oramai sulla maggior parte degli imballi in carta dei più
autorevoli produttori del settore [16], ed essendo un acronimo di rilevanza internazionale, non trova una sua
forma traducibile nella lingua italiana, neppure per quanto attiene la sua forma
estesa. Sugli imballi presenti sugli scaffali della maggior parte di negozi,
supermercati e ipermercati del nostro Paese, questo acronimo, corredato di logo,
viene accompagnato da spiegazioni del tipo “prodotto realizzato con legname
proveniente da foreste correttamente gestite” [17]. Ma anche questo campo, quello di loghi e diciture a valenza di tutela
ambientale presenti su ogni tipo di imballo, è un altro settore sul quale
occorrerebbe indagare a fondo. Per chiudere questo piccolo cerchio di trattazione della traducibilità o
intraducibilità dei termini della green
economy, vorrei citare solo un ultimo acronimo, ultimo ovviamente non quanto
a numero o rilevanza: si tratta di GESDPE - Green Economy [for] Sustainable
Development and Poverty Eradication. Leggendo sia quanto stabilito dallo
United Nations Environment Programme [18], sia la presentazione della
prossima Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile che si terrà
a Rio de Janeiro a giugno 2012 [19], si viene a comprendere appieno
quanto a più voci affermato: il concetto di
green economy non è pienamente
condiviso tra i vari Paesi, nel senso che ognuno di essi vi attribuisce diverse
accezioni, applicando di conseguenza strategie e politiche differenti. Ciò che
però risulta estremamente importante e comune a tutte le definizioni
green è il fatto che la
green economy, questa nuova ‘economia
pulita’ [20], deve essere volta a garantire
uno sviluppo sostenibile e a diminuire le sacche di povertà nel mondo. Ed ecco
appunto l’utilizzo in tal senso dell’acronimo GESDPE, vale a dire
Green Economy [for] Sustainable
Development and Poverty Eradication. Questo acronimo, di recentissimo conio,
non trova ancora utilizzo nella lingua italiana [21], né per quanto attiene un
eventuale e semplice prestito linguistico, né per quanto riguarda una
qualsivoglia forma di traduzione: in effetti, anche traducendo la formula estesa
di questo acronimo, non riusciremmo a rendere il valore e la portata che si
vogliono culturalmente attribuire alla green economy non solo a livello ambientale ed economico, ma anche a livello sociale.
Una volta presentati questi pochi esempi che tuttavia spero possano essere
esemplificativi, vorrei specificare che chi si trova oggi a dovere tradurre
testi in un qualsivoglia modo connessi alla
green economy e pertanto permeati
della sua terminologia, dovrà in primo luogo cercare di circoscrivere il settore
e quanto meno l’ambito di applicazione del documento sul quale si trova a
operare, e conseguentemente documentarsi a fondo (cosa ovviamente non nuova a
chi si occupa di traduzione) in entrambe le lingue
Target e
Source, cercando di diventare esperto di quel se, cercando di diventare esperto di quel settore o ambito a livello terminologico.
Oltre ai più tradizionali canali di documentazione scritta, Internet costituisce
un’ottima e veloce fonte dalla quale trarre non soltanto terminologia [22],
ma anche fonti affidabili a livello tecnologico, sebbene il traduttore esperto
dovrà farsi strada in quella che oramai è divenuta una “giungla terminologica”.
Dovrà formulare le proprie ipotesi e validarle a livello comparativo su testi
esistenti (anche se non parallelamente l’uno all’altro). Laddove la terminologia
inglese risulti molto compatta e portatrice di più e più ampi contenuti
semantici, dovrà verificare se non sia meglio una locuzione esplicativa in
sostituzione di una traduzione letterale. Laddove il termine sorgente sia invece
di uso comune anche nella lingua di arrivo (occorrerà fare una verifica accurata
delle occorrenze), dovrà eventualmente spiegarne il significato una prima volta
e poi mantenere il termine originale, facendo sempre ovviamente ogni debita
valutazione in merito ai destinatari della sua traduzione. Di certo, il buon
traduttore non potrà segnalare nessun termine come ndable
o untranslatable
[23], sebbene davvero a volte sia ben difficile trovare agganci tecnologici o
culturali.
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