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Top of the Spot: capire e comunicare l’inglese attraverso la pubblicità italiana

 
     
 

Simona Seghizzi - Docente di Lingua Inglese e Traduttrice freelance

 
     
 

 

«La pubblicità è la più grande forma d’arte del XX secolo.»

McLuhan [1]

 

 

Addentrarsi nel mondo della pubblicità è un’esperienza non solo interessante e divertente, ma soprattutto formativa dal punto di vista linguistico. Comunicare in questo campo vuol dire conoscere un prodotto e la sua azienda, lanciarlo sul mercato nel miglior modo possibile e persuadere potenziali consumatori all’acquisto attraverso un messaggio solitamente breve, ma di grande effetto, che colpisca l’attenzione e rimanga impresso nella memoria fino a diventare parte integrante del bagaglio socio-culturale di una comunità. Molteplici sono le componenti generali che entrano in gioco nella produzione di un messaggio pubblicitario: creatività, estetica, retorica, semiotica, psicologia, per citarne alcune, il tutto inserito coerentemente in un dato contesto sociale, economico e storico-culturale, possibilmente a livello internazionale. A tal proposito, Marinetti diede una definizione piuttosto indicativa di quali fossero le qualità più efficaci di una buona pubblicità:

 

«La massima originalità, la massima sintesi, il massimo dinamismo, la massima simultaneità e la massima portata mondiale. Ecco che cos’è la pubblicità. [2]»

 

Il concetto di “fare pubblicità” in inglese è espresso dal verbo to advertise, che dall’inizio del XV secolo assume il significato di take notice of, formatosi sulla radice francese a(d)vertir, to warn, proveniente dal latino advertere, ‘volgere verso qualcosa’, e che include l’accezione figurata ‘prestare attenzione a’ [3]. Sono da lì derivati il termine advertising, ovvero la ‘pubblicità pagata’, o per estensione il settore economico che si occupa di studiare le tecniche di comunicazione pubblicitaria nella vendita di beni e servizi, advertisement, ‘l’annuncio pubblicitario’, che spesso si trova nelle sue forme tronche ad e advert; advertiser, l’agent noun, ovvero la persona che svolge la funzione, in questo caso l’‛inserzionista’ o il ‘pubblicitario’, da preferire alla forma adman, politicamente scorretta; diversi composti come classified ad, ‘inserzioni economiche di aziende private’, ad space, lo ‘spazio riservato alle pubblicità’, advertising agency, l’‛agenzia pubblicitaria’, advertising campaign, la ‘campagna pubblicitaria’, ad manager, il ‘responsabile della pubblicità e dei rapporti con l’azienda’, ad budget, la ‘somma stanziata per la pubblicità’, ad firm, l’‛azienda committente’, ad creep, la ‘graduale espansione di spazi pubblicitari su superfici non tradizionali come muri pubblici, automobili e facciate di edifici’ (in quest’ultimo caso conosciuta anche come advertecture, blend di ad e architecture); alcuni neologismi come shockvertisement, fusione di shock e advertisement, a indicare una ‘pubblicità di grande impatto emotivo’; advertainment, blend di advertisement ed entertainment, corrispondente a una forma di comunicazione commerciale che persegue i suoi fini pubblicitari divertendo i potenziali consumatori, advergame, un ‘gioco interattivo sul web che incorpora messaggi e immagini pubblicitarie’, e advertorial, blend di advertisement ed editorial, tradotto in italiano con il termine ‘pubbliredazionale’, a indicare pubblicità in formato editoriale o di stampo giornalistico, che ha dato vita poi al suo opposto edvertorial, formato da editorial e advertisement, uno scritto che, pur sembrando frutto di giornalismo obiettivo, si rivela un’operazione commerciale finalizzata alla promozione di uno specifico brand. In relazione al termine analizzato, è importante inoltre ricordare che esistono i sinonimi spot, risalente al 1923, quando l’originale significato di ‘punto’, ‘macchia’, ‘zona ristretta’ si estende a quella di arco temporale contenente un breve messaggio pubblicitario, fino a coincidere metonimicamente con il messaggio stesso, inserito in trasmissioni radiofoniche o televisive [4]; commercial, sostantivo usato dal 1935 per indicare la pubblicità trasmessa per mezzo di spot televisivi e radiofonici; publicity, risalente al 1826, che sicuramente si presta a una più facile acquisizione da parte di parlanti italiani, stante la sua radice latina, ma che si differenzia notevolmente dai precedenti in quanto indica la ‘pubblicità che si acquisisce senza pagare’, ovvero un’attività di comunicazione aziendale sviluppata da uffici stampa interni alle aziende stesse o attraverso operazioni di Relazioni Pubbliche.

 

Un’altra parola chiave di grande diffusione in questo settore, testimoniata dalla sua continua produttività linguistica, è brand o brand name, ‘marchio’, ‘marca’ o ‘denominazione commerciale’. Questo termine trae origine dalla radice inglese antica che indica il fuoco o qualcosa che brucia, burn, e indicava un pezzo di legno ardente o una torcia. L’accezione iniziale si amplia con lo sviluppo dell’allevamento di bestiame quando il termine branding, oggi segno distintivo dell’identità di un’azienda, è adottato per differenziare la proprietà degli animali, marchiati a fuoco con un ferro incandescente contenente un simbolo per distinguerli. Nel 1827 viene infine preso in prestito dal settore economico per indicare «a particular make of goods» [5], originali, esclusivi e soprattutto riconoscibili sul mercato di massa di nuova generazione industriale. Tra i composti più comuni si trovano brand awareness, ‘riconoscibilità del marchio’, brand equity, ‘valore del marchio’, brand health, ‘salute del marchio’, brand loyalty, ‘fedeltà al marchio’, brand manager, ‘responsabile della promozione di una linea di prodotti’, brand merchandise, ‘beni/merci di marca’, fashion brand, ‘marchio di moda’ (con il suo sinonimo francese griffe), one-brand, ‘monomarca’, parent brand, ‘marchio ombrello’, retail brand, ‘marca di vendita al dettaglio’, brand value build-up, ‘valorizzazione del marchio’, brand image, ‘immagine del marchio’, brand strategy, ‘strategia di marca’, brand promotion, ‘promozione del marchio’, inter-brand competition, ‘concorrenza tra marche’, digital brand, ‘marchio digitale’, e via dicendo. Curiosi i termini brandalism, blend di brand e vandalism a indicare la ‘deturpazione di edifici e spazi pubblici con brand e loghi’, e brandscape, blend di brand e landscape, il grado di ‘espansione di un marchio in un determinato mercato o contesto culturale’.

La parola slogan, oggi sostituita in campo pubblicitario da termini specialistici come headline, claim e payoff, proviene dal gaelico sluaghghairm, ‘grido di guerra’, e definisce

 

«una breve frase, incisiva e sintetica, per lo più coniata a fini pubblicitarî o di propaganda politica, che, per ottenere un effetto immediato ed essere facilmente memorizzabile, si avvale spesso di accorgimenti ritmici, della rima, di assonanze o allitterazioni, oppure è costruita secondo lo schema usuale dei proverbi.» [6]

 

Di fatto, la pubblicità è concepita su tre livelli artistici complementari di effetto immediato: arte visiva (immagine), arte musicale (uditiva) e arte testuale (ascolto e/o lettura). L’immagine è ormai una componente imprescindibile del nostro secolo e tende ad ottenere sempre più spazio fino a rappresentare l’essenza stessa del prodotto [7]. La musica, o addirittura l’assenza di essa [8], grazie alla sua cadenza ritmica, il genere, lo strumento o il musicista che la suona, aiuta a creare l’atmosfera ideale per la presentazione di un determinato prodotto commerciale: il jingle, ad esempio, costituisce un ‘motivetto breve e accattivante’ che rinforza rime e giochi di parole, diventando parte del patrimonio culturale. Per quanto riguarda il testo, un fattore di arricchimento della comunicazione pubblicitaria odierna è l’uso della lingua straniera, spesso utilizzata per esaltare l’associazione con valori e stereotipi culturali legati al Paese di produzione o all’origine del prodotto [9]: Das Auto [10] è una frase comprensibile in italiano e richiama alla qualità e all’affidabilità della meccanica tedesca, mentre il francese è utilizzato in particolar modo nella promozione di prodotti di bellezza e profumi che indirettamente rievocano l’eleganza, la sensualità e lo stile chic di una Parigi romantica e immortale. Nonostante la maggior parte delle pubblicità ricorra a una varietà di prestiti e calchi di varia provenienza per esaltare qualità e funzionalità di determinati prodotti, la lingua straniera per eccellenza in questo campo rimane l’inglese, segno evidente della sua flessibilità, diffusione e affermazione come lingua di comunicazione globale.

Diversi studiosi si sono dedicati a rintracciare gli elementi distintivi di quello che a ben ragione può essere considerato un genere testuale (Leech, 1966; Lombardo, 1999; Giovanardi, 2005; Kelly-Holmes, 2005; Serra, 2006; Ferrarotti, 2011) evidenziandone, ad esempio, la preferenza per espressioni e termini colloquiali o di origine greco-latina, l’uso della forma attiva dei verbi (presente, imperativo), la presenza di ripetizioni (utili alla memoria e alla valorizzazione di certe caratteristiche), di aggettivi positivi (spesso comparativi e superlativi), di modali come can e will (per aumentare il senso di possibilità, promessa, opportunità), della struttura interrogativa (invito alla partecipazione attiva), della naturale tendenza a rivolgersi a un generico consumatore you (che in inglese sta per ‘tu’, ma anche per ‘voi’, estendendo il messaggio dal singolo individuo al gruppo).

Molti sono gli slogan inglesi che ricorrono negli spot italiani, e sebbene alcuni di essi contengano un messaggio interamente in lingua accompagnato da sottotitoli che ne aiutano la comprensione [11], la maggior parte delle pubblicità italiane presenta un pay-off inglese, breve e facile da memorizzare, scritto sotto il marchio, che firma l’intero messaggio e ne riassume la strategia.

Lo slogan di McDonald’s [12] ha una costruzione semplice che da sempre soddisfa l’attenzione del pubblico per la sua perfetta coesione con l’immagine e il logo dell’azienda: studiato in ogni suo particolare per veicolare il giusto messaggio, il marchio è diventato nel tempo non solo sinonimo di fast food, ma anche il simbolo per eccellenza della cultura occidentale. La combinazione dei colori giallo e rosso, stimolanti, con il familiare logo a doppio arco riconoscibile in tutto il mondo, non fa altro che ampliare l’effetto della forma progressiva, normalmente non utilizzata con verbi di stato o di sentimento come love, like e hate. Il present continuous aggiunge allora una connotazione temporale specifica che cristallizza prodotti e azienda in un presente infinito, come a indicarne l’esistenza perenne a prescindere dal luogo e dal tempo. Linguisticamente interessanti sono anche la forma contratta di i am, solitamente riservata alla conversazione informale e orale (da notare in particolare la scelta del soggetto in prima persona nella sua forma minuscola che spersonalizza, ma aumenta il senso di identificazione individuale in un più ampio contesto sociale), e l’elisione della g, che dà alla frase un tocco giovanile e flessibile, sinonimo di aderenza a un’idea di linguaggio gergale, sempre al passo con i tempi. La completa fusione tra prodotto e azienda si manifesta infine nel pronome it che, se da una parte si riferisce in linea generale a un oggetto non immediatamente esplicito, allo stesso tempo suggerisce implicitamente nella mente del consumatore l’associazione con preferenze personali (un prodotto piuttosto che un altro) e con il brand in generale (McDonald’s), aumentando l’effetto di predisposizione positiva verso l’azienda stessa.

È grazie alla sua attenzione per il cliente, per la qualità delle materie prime, per la salute e i contenuti nutrizionali e per lo sviluppo sostenibile (in linea con la mission aziendale), oltre che per la sua atmosfera piacevole e familiare creata con sapienza in base a precisi modelli di design (è affascinante leggere la pagina dedicata al remodelling [13]), che McDonald’s ha da sempre rappresentato, e ancora oggi rappresenta, non solo un successo commerciale globale, ma soprattutto il simbolo di un nuovo stile di vita, quello di una società moderna in continuo sviluppo, attenta ai bisogni umani dal punto di vista economico, culturale e sociale.

Per dare un’idea più precisa di quanto il marchio abbia influenzato la vita del XX secolo, basta citare due esempi, il Big Mac Index e Slow Food. Introdotto dalla rivista economica The Economist nel settembre 1986, il Big Mac Index è uno strumento informale usato per misurare la parità di potere d’acquisto tra due monete (in inglese è comune l’acronimo PPP, Purchasing Power Parity), definita dallo stesso giornale come

 

«the notion that in the long run exchange rates should move towards the rate that would equalise the prices of an identical basket of goods and services (in this case, a burger) in any two countries» [14].

 

Essendo disponibile con le stesse specifiche in diverse nazioni del mondo, il panino assurge così a indice di capacità reddituale e acquista un nuovo significato nel linguaggio specialistico [15], dando anche vita a neologismi come Burgernomics, fusione tra burger ed economics. Slow Food è un’associazione internazionale no-profit nata in Italia dall’organizzazione Arcigola (1986) per contrastare l’apertura del McDonald’s di Piazza di Spagna a Roma [16] e più in generale l’espansione del fast food, simbolo per eccellenza di junk food [17] e di uno stile di fast life. Fondata da Carlo Petrini con il motto “buono, pulito e giusto”, Slow Food opera nella promozione del cibo come portatore di piacere, cultura, tradizione e identità, in conformità con uno stile di vita rispettoso dei territori locali, dei diversi ecosistemi, della biodiversità agroalimentare e dell’educazione al gusto e alle scienze gastronomiche [18].

Se quello del McDonald’s è solo uno dei tanti slogan in/di lingua inglese presenti nella pubblicità italiana, è pur vero che quelli che seguono rappresentano una piccola parte di un corpus linguistico molto più ampio e vario, in continua crescita ed espansione. Nonostante ciò, ognuno di essi, in relazione alla struttura che usa, al tipo di prodotto che sponsorizza, al momento storico-culturale in cui è realizzato, rappresenta una piccola perla di creatività e ingegno linguistico da ripercorrere con curiosità, attenzione e divertimento.

La caratteristica principale delle pubblicità per automobili è l’accento sul movimento (viaggio fisico ed emozionale) e sulla sensazione di guida, che idealmente mirano alla completa identificazione con la macchina. Un esempio di questa fusione tra movimento e sentimento è rappresentato dallo slogan della Peugeot che usa una paronomasia di grande effetto sonoro: «Motion & Emotion» [19]. Si riscontrano inoltre alcuni tratti comuni come verbi quali go, drive, move, spesso nella forma dell’imperativo a fine esortativo:

 

Renault (Quality made) – «Drive the change»

Ford – «Drive on»

Ford – «Go further» («Life is an open door»)

Saab – «Move your mind»

Nissan (Shift) – «The way you move»

BMW – «Driven by heart»

Volkswagen – «Drivers wanted»

 

Questi hanno un alto indice di comprensione, diffusione e trasparenza per parlanti italiani e che metaforicamente si associano a uno stile di vita all’impronta del cambiamento, dell’innovazione e del progresso anche nella vita. Sono infatti spesso accompagnati da un sottile riferimento alla personalità di chi guida, reso più o meno esplicito dalla presenza di verbi di sentimento come feel, think, o sostantivi come mind, life e way (‘strada’, ma anche ‘modo di vivere’):

 

Subaru – «Think. Feel. Drive»

Ford – «Feel the difference»

Mazda – «Independent way»

Hyundai – «New thinking, new possibilities»

Toyota – «Always a better way»

Suzuki – «Way of life»

Jaguar – «Life, balanced»

 

La categoria di automobili dedicate all’avventura è ben esemplificata dagli slogan di Opel, «Discover, Opel», e delle Jeep Grand Cherokee, «Never Adapt», e New Jeep Wrangler Moab, «Adventure is everywhere», in cui si esorta il pubblico a scoprire il mondo (e la vettura al tempo stesso) e a vivere al meglio ogni diversa esperienza di vita/guida. Un’altra associazione tra lo stile di vita e l’esperienza del viaggio si ritrova per la Ford Escort Turbo GT che gioca sulla quasi omofonia tra living e leaving: «Raise your standard of leaving». Altre marche si affidano alla celebrazione della potenza e dell’ingegneria per creare una connessione con la persona attraverso il suo desiderio di controllo, come la Daewoo Matiz – «Designed around you», oppure attraverso le aspirazioni personali, come nei casi seguenti:

 

Honda – «The power of dreams»

Lancia Delta – «The power to be different»

Subaru – «Extra power when you need it»

 

Nissan fa una scelta minimalista e inizialmente si affida a un’unica parola per esprimere il massimo dell’attenzione al cambiamento dei tempi e alla ricerca della realizzazione tecnologica: «Innovation», diventato poi «Innovation that excites».

Un’altra interessante invenzione è quella della Mini che punta sull’eccezionalità della dimensione e del carattere con lo slogan «Not normal», mentre Lancia Y mira all’assonanza con la familiare espressione di stupore «Oh my Gold!». Solo i marchi rinomati e saldamente affermati sul mercato come Mercedes-Benz e BMW, sicuri della loro notorietà e della loro brand image, possono permettersi un messaggio come «The best or nothing» e «One like no-one», rispettivamente, che esaltano l’esclusività e l’eccellenza del prodotto nonché il legame con il mondo del lusso e dell’eleganza. Frequente anche l’uso di allitterazioni come l’indimenticabile «Today, Tomorrow, Toyota» (da notare l’accento sul tempo che rinforza l’idea di immortalità dell’auto). E infine come non considerare la scelta dell’inglese da parte dell’azienda automobilistica numero uno in Italia? Fiat: «Simply more».

 

La bibita per eccellenza, rinfrescante, frizzante e dolce al punto giusto, inventata ad Atlanta nel 1886 dal farmacista John Pemberton, prodotta in Italia dal 1927, diventata sponsor ufficiale delle Olimpiadi dal 1928, rappresentata da Babbo Natale dal 1931, resa un’icona mondiale della Pop Art da Andy Warhol nel 1962, bevuta nello spazio nel 1985, nominata marchio più influente del mondo nel 1988 [20], un nome allitterante che ha fatto la storia della pubblicità e creato «La ricetta della felicità»: è la Coca-Cola che meraviglia il mondo con i suoi spot sempre diversi, studiati in ogni dettaglio per ammaliare una società che si evolve e cambia giorno dopo giorno. La Coca-Cola ha avuto molti slogan nel corso del tempo, ma ha saputo sempre esaltare il gusto unico della sua “formula magica”, come ad esempio in «It’s the real thing» [21], puntando sul suo spirito effervescente e sul dare giusto valore alle cose semplici della vita: l’amore, la famiglia, gli amici, lo sport, ecc. Dall’indimenticabile «Always Coca-Cola» (1993), ad altri celebri come «Welcome to the Coke side of life» (2008), arriviamo all’odierno «For those who don’t believe» («Open happiness») [22], in cui si avvale anche della collaborazione con il giovane e spumeggiante chef Simone Rugiati, che nello spot gira l’Italia con un camioncino fermandosi nelle piazze per cucinare piatti semplici e gustosi, invitando chiunque voglia a cenare in compagnia di ottima musica, cibo genuino e buoni amici, dissetandosi con la freschezza di una Coca-Cola. Anche se passa velocemente, il messaggio sul tetto del camioncino recita «Where will happiness strike next?»: e così non solo l’identificazione tra felicità e prodotto è completa, ma si ripete in luoghi diversi sul territorio nazionale, rendendo lo spot una puntata di una storia d’Italia fatta di colori, tradizioni e sapori. Un effetto davvero esplosivo per gli spot pensati per la Coca-Cola Zero, in cui la missione impossibile di creare una bibita senza zucchero, ma ugualmente gustosa, si esprime in «The impossible made possible».

 

Ugualmente originale e divertente è il composto «Live happilly», un invito in forma di avverbio a gustarsi una vita felice, essenza del caffè Illy. Le birre e altre bevande più o meno alcoliche, costituendo un prodotto di difficile invito al consumo data la loro gradazione alcolica e la conseguente incompatibilità con uno stile di vita sano e responsabile, propongono giochi di parole che spostano l’attenzione sul tempo libero e le feste in compagnia, sulle occasioni di incontro e sulla passione dei momenti speciali, sul piacere dei sensi:

 

Heineken – «Sounds Good», ora «Open your world»

Corona Extra – «The place to be»

Martini – «No Martini, no party»

Bacardi – «Mix Appeal» (che gioca sull’assonanza con sex appeal)

Campari – «Red Passion» e «Orange Passion»

Guinness – «My Goodness, My Guinness»

Bud – «Why ask why? Try Bud Dry»

 

Una piccola parentesi a parte merita lo straordinario spot italiano di Red Bull, in cui lo slogan «Red Bull ti mette le ali», in inglese «Red Bull gives you wings», è preceduto da un video dedicato a imprese sportive compiute in condizioni estreme e da un messaggio in cui si afferma la vocazione della natura umana a esplorare la propria mente e il mondo intero oltre ogni confine, perché «The only limit is the one you set yourself».

 

In una società variegata come quella di oggi, non mancano esempi tratti da una grande quantità di prodotti diversi, come ad esempio quello dello snack per bambini il cui slogan «Do you Ringo?» è un semplice, chiaro e diretto invito a unirsi alla merenda e alla partita di pallone, e non dimentichiamo che la domanda arriva da uno dei più giovani, popolari e talentuosi calciatori del nostro secolo: Kakà.

Memorabile l’attore Stefano Accorsi nel suo eccentrico, ma efficace mix di italiano e inglese, che prende spunto dallo stile maccheronico dell’Italiano che si arrangia: Maxibon,“Two gust is megl che uan” [23].

Difficile dimenticare poi gli slogan di marche sportive importanti come quello di Nike, «Just do it», informale esortazione a osare nello sport e a provare il prodotto allo stesso tempo, e di Adidas, «Impossible is nothing», in cui si promuove la forza di volontà e si spinge ad andare oltre le possibilità umane.

Un’insolita collaborazione tra Adidas, Vice e Canon ha dato vita a un concorso il cui scopo era inviare una foto di immagini di personaggi più o meno bizzarri, in situazioni più o meno bizzarre, vestiti in modo più o meno bizzarro: “Saranno un Adidoes o un Adidoesn’t?”. Il marchio proponeva al pubblico di giudicare in prima persona e quindi di partecipare attivamente a una definizione dello stile Adidas, operando una serie di cambiamenti linguistici a partire dall’omofonia di adidas e adi-does, rendendolo un verbo e creandone la forma negativa.

Arena, azienda produttrice di costumi e abbigliamento sportivo, attualmente ha lo slogan «Libera il tuo stile», in cui il richiamo agli sport acquatici è immediato e dove l’esortazione alla libertà è allo stesso tempo un invito verso l’acqua, l’elemento naturale per eccellenza, e verso la scelta personale di uno stile di vita. Tuttavia, in passato ha creato uno degli slogan inglesi di maggiore effetto, sia sul piano della lingua che dell’immagine [24]: «Water Instinct». Due parole che bastano per richiamare l’istinto primordiale a vivere la vita da vera creatura acquatica.

Di recente invenzione, le scarpe da ginnastica Puma Bodytrain, che mantengono in forma mentre si cammina grazie alla loro forma studiata per allenare in particolare le gambe delle donne, dicono «Walk Sexy».

 

Quando il prodotto è un orologio, non si può mancare di citare gli slogan di popolari aziende produttrici che rimarranno nella memoria per molto tempo come ad esempio:

 

Chronotech – «Shock your time»

Omega – «My choice»

Sector – «No limits»

Breil – «Don’t touch my Breil»

 

Oltre a questi, vale la pena citare lo slogan della Swatch, «Time is what you make of it»: proverbio, adagio o consiglio materno, certamente l’accento è sul fare buon uso del tempo, e quale miglior tempo di quello passato come meglio crediamo? Ma il vero ingegno linguistico trova la sua più divertente espressione in «Swatch, the others just watch», in cui si insinua l’idea che gli altri stanno a guardare perché probabilmente indossano un orologio qualunque, e nella paronomasia «Switch to Swatch», un piacevole invito a cambiare marca.

L’Italia, il Paese dell’amore, dell’arte e della moda, si sveste per rappresentare il sogno “romantico, sensuale, naturale e contemporaneo” [25] dell’azienda di lingerie più popolare nel nostro Paese: «Intimissimi, The Italian Dream».

 

Due marche che hanno fatto la storia della fotografia nel mondo mettono in risalto le possibilità offerte da una macchina fotografica di alto livello, e la qualità dell’immagine stessa come essenza e cuore della vita: «With Canon, you can» e «At the heart of the image» (Nikon).

Per rimanere in tema tecnologia, lo slogan di Lg, «Life’s Good» rivela un messaggio doppiamente positivo che grazie all’intelligente uso dell’apostrofo trasforma in due parole una frase già breve. Inoltre ci insinua l’idea che l’espressione possa avere due chiavi di lettura di “life is good”, con l’impiego della forma contratta del verbo nella frequente versione colloquiale, come a rinforzare l’idea di volersi godere la vita lasciandocela semplificare dalla tecnologia, e di “the good of life”, ricorrendo al genitivo sassone che permette di cambiare l’ordine delle parole, suggerendo implicitamente che il bello della vita è proprio possedere un prodotto di questa marca.

Nello slogan di Philips, «Sense and simplicity», l’effetto sonoro dato dall’allitterazione della ‘s’ aumenta la sensazione di salutare benessere, creato da una perfetta armonia tra alta tecnologia e design elegante; che si tratti di impianti stereo (udito), televisione (vista), rasoi elettrici [26] (tatto) o macchinette per l’espresso (gusto e olfatto), l’enfasi è sull’appagamento dei sensi. Gillette usa un aggettivo polisemantico, ideale per esprimere l’idea della perfetta rasatura che rende l’uomo attraente ed elegante, sveglio e pronto alla conquista: «Look sharp, feel sharp, be sharp».

Altre marche mettono in risalto l’effetto che l’acquisto del prodotto produce, come ad esempio semplificare la vita, meravigliare con nuove risorse interattive, ampliare e migliorare le relazioni sociali, aumentare il piacere delle emozioni vissute e condivise in un’esperienza collettiva:

 

Nokia – «Connecting People»

Motorola – «Intelligence Everywhere»

Panasonic – «Ideas for life»

Microsoft Vista – «Wow starts now»

PSVita – «The world is in play»

Zurich Assicurazioni – «Because change happenZ»

Pringles – «Once you pop, you can’t stop»

 

Altre ancora ampliano il campo delle percezioni individuali e creano un sottile legame di connessione tra l’oggetto, le sue potenzialità in termini di innovazione e un futuro in cui ognuno può inseguire i propri sogni, le proprie convinzioni, le proprie passioni:

 

Pioneer – «Sound, Vision, Soul

Sony – «Make. Believe.»

Apple – «Think different»

Vodafone – «Life is Now»

Microsoft – «Your potential. Our passion.»

 

L’uso di una lingua straniera nella pubblicità italiana, sia esso criticato o apprezzato e incoraggiato, rimane comunque un mezzo per ampliare le nostre conoscenze linguistiche e la nostra comprensione di una società sempre più varia e articolata.

 

«Apprendere una lingua vuol dire partecipare a un processo creativo, acquisire quella consapevolezza della complessità e del dinamismo della parola che è fondamento di un sapere linguistico attivo, organico, duttile, aperto a un plurilinguismo in cui le lingue non siano solo strumento, ma anche componenti di un’esperienza conoscitiva, intellettuale ed emotiva.» [27]

 

Forse a livello commerciale la pubblicità rimane ancora un mondo creato per soddisfare un generico “tu” fatto di idee, emozioni, fantasie, da realizzare in una specifica realtà storico-sociale. Ma è proprio nella sua interconnessione e interdipendenza con il mondo che diventa soprattutto un modo per conoscere, capire, comunicare: gli slogan incontrati rappresentano allora la componente linguistica di un più ampio quadro di comunicazione sociale che include le relazioni interpersonali, interculturali e di intercomprensione. La pubblicità gioca sul senso di benessere e di felicità, rinforza gli stereotipi, ridefinisce i ruoli sessuali, conta sulla tradizione per innestare l’innovazione, riflette le inclinazioni della società e influenza lo stile di vita delle nuove generazioni; ci offre inoltre non solo l’occasione di riflettere sulla lingua e i suoi processi di evoluzione, integrazione e affermazione in una data comunità, sia essa locale o globale, ma soprattutto ci permette di sognare, desiderare l’ignoto, abbandonarci alle illusioni, allenare la mente, testare le nostre convinzioni, immaginare l’impossibile.

Riassumendo in una frase, come si dice nello spogliatoio della Roma nel nuovo spot della Volkswagen Polo: «Francè, questo è Marketing» [28].

 

 

Bibliografia

Cardona, G. R., La lingua della pubblicità, Ravenna, Longo, 1974.

Castorina, G. G., “Una comune cultura linguistica”, in Castorina, G. G., et al., Texts, Tools & Trends, Bologna, Monduzzi Editore, 2011.

Ferrarotti, L., “Linguaggio e Pubblicità”, in Castorina, G. G., et al., Texts, Tools & Trends, Bologna, Monduzzi Editore, 2011, pp. 373-387.

Ferrarotti, L., “The English Language and Italian Advertising: A Growing Connection”, in Begioni, L., et al. (a cura di), L’Eurolinguistique: aspects lexicologiques et didactiques, “Ateliers 42”, Université Lille III “Charles-de-Gaulle”, Lille, 2011, pp. 97-108.

Giovanardi, C., “L’inglese nella pubblicità televisiva italiana dei giorni nostri”, in Iørn Korzen (ed.), Lingua, cultura e intercultura: l’italiano e le altre lingue, Atti del VIII Convegno Filologia Italiana (Copenhagen, 22-26 giugno 2004), Copenhagen Studies in Language n. 31, Samfundslitteratur Press, 2005, pp. 399-411.

Kelly-Holmes, H., Advertising as Multilingual Communication, London, Palgrave Macmillan, 2005.

Leech, G., English in Advertising: A Linguistic Study of Advertising in Great Britain, London, Longman, 1966.

Lombardo, L., “Advertising as Motivated Discourse”, in AA.VV., Massed Medias, Linguistic Tools for Interpreting Media Discourse, Milano, 1999, Led, pp.85-156.

Marinetti, F. T., Guida Ricciardi, 1936.

Marshall McLuhan, La sposa meccanica, 1951.

Serra, A., L’uso dell’inglese nella pubblicità italiana, Roma, Aracne, 2006.

 

 

Sitografia

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http://www.economist.com/

http://www.etymonline.com/

http://www.google.it/

http://www.internazionale.it/

http://it.intimissimi.com/custserv/custserv.jsp?pageName=Corporate

http://it.volkswagen.com/it.html

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http://www.oxforddictionaries.com/

http://www.peugeot.fr/

http://www.philips.it/

www.slowfood.com/

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www.treccani.it/

http://us.coca-cola.com/

http://www.youtube.com/

 
 
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[1] Marshall McLuhan, La sposa meccanica, 1951.

[2] Marinetti, F.T., Guida Ricciardi, 1936.

[3] http://www.etymonline.com/index.php?term=advertise&allowed_in_frame=0

[4] http://www.treccani.it/vocabolario/spot/

[5] http://www.etymonline.com/index.php?term=brand

[6] http://www.treccani.it/vocabolario/slogan/

[7] Un esempio è dato dal nuovo spot del profumo Gucci Guilty Black, focalizzato sull’incontro tra un uomo e una donna.

[8] Come nel caso di pubblicità che esaltano la silenziosità di certe tecnologie (auto, elettrodomestici, ecc).

[9] Si vedano a questo proposito Cardona (1974), Serra (2006), Ferrarotti (2011), Kelly-Holmes (2005). Quest’ultima in particolare ha sviluppato il concetto di “feticcio linguistico”, secondo cui un prodotto in pubblicità è rappresentato con una forte identità linguistico-culturale.

[10] Volkswagen. Das Auto. http://it.volkswagen.com/it.html

L’uso dell’articolo determinativo segna il confine tra la vera auto per antonomasia, quella tedesca, e tutte le altre.

[11] Diverse le campagne pubblicitarie di questo tipo che si appoggiano a testimonial d’eccezione come «Nespresso, what else (George Clooney), Chanel n° 5 «Inevitable» (Brad Pitt).

[12] i’m lovin’ it - http://www.mcdonalds.com/us/en/home.html

[13] http://www.mcdonalds.it/azienda/il-remodelling

[14] http://www.economist.com/content/big-mac-index

[15] Recentemente inoltre, «per rispondere ad alcune critiche – per esempio quella secondo cui l’indice non teneva conto di alcuni elementi, come la diversità del costo del lavoro nei diversi Paesi – è stato preso in considerazione anche il PIL pro capite.» http://www.internazionale.it/news/economia/2013/02/05/lindice-big-mac-2-0/

[16] Cfr. le sezioni “Slow Food History” in www.slowfood.com e “Storia” in www.slowfood.it

[17] Il cosiddetto ‘cibo spazzatura’, termine usato per criticare la scarsa attenzione alla qualità e al valore nutrizionale di quello che era considerato, soprattutto in Italia, il pasto tipico americano: hamburger e patatine.

[18] McDonald’s più volte e in vari modi ha provato a instaurare nella mente del consumatore l’associazione tra fast food e slow food, ricorrendo a stratagemmi che vanno dalla produzione di panini locali (con prodotti sani, tradizionali, di provenienza regionale) alla presentazione di un panino speciale ideato e cucinato da uno dei più importanti chef italiani, Gualtiero Marchesi.

[19] http://www.peugeot.fr/

[20] Landor Image Power Survey, www.coca-cola.com.

[21] Spot del 1970 in cui si affermava l’unicità della bevanda in relazione alle molte imitazioni spuntate sul mercato.

[22] Una lista cronologica degli slogan usati dalla Coca-Cola è a disposizione sulla pagina Wikipedia dedicata alla bevanda, http://it.wikipedia.org/wiki/Coca-Cola.

[23] Trascrizione ipotetica di battuta parlata.

[24] È impossibile in questa sede inserire le immagini dell’azienda con lo slogan in questione, ma vale la pena fare una piccola ricerca su Google Image e apprezzare il fascino di un’opera d’arte.

[25] http://it.intimissimi.com/custserv/custserv.jsp?pageName=Corporate

[26] Come ad esempio il Sensotouch 3D, http://www.philips.it/

[27] Castorina, G. G., “Una comune cultura linguistica”, in Castorina, G. G., et al., Texts, Tools & Trends, Bologna, Monduzzi Editore, 2011.

[28] Nuova campagna Volkswagen - AS Roma, “W il calcio” 2012-2013.

 
     
 
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