Il mio articolo nasce dall’interesse per un settore
dinamico e in continua evoluzione come quello della comunicazione politica, e si
propone di analizzare da un punto di vista linguistico-retorico alcuni discorsi
politici di tre Segretari di Stato degli Stati Uniti d’America: Madeleine
Albright, Condoleezza Rice e Hillary Rhodam Clinton, le uniche donne nella
storia americana ad aver ricoperto questa prestigiosa carica.
Il mio obiettivo in particolare è quello di
individuare, nelle modalità espressive e negli stili comunicativi delle tre
politiche, quegli aspetti linguistici che potrebbero essere definiti di
gender e quindi caratterizzanti di una
retorica femminile; ritengo infatti che la retorica di genere, argomento
approfondito solo in tempi recenti, soprattutto in seguito al processo di
empowerment [1] delle donne in politica, possa offrire una nuova e
originale prospettiva nello studio del linguaggio in tale settore.
Due interessanti esempi di questa
rhetoric of gender sono rappresentati dal feminine style, di cui parla Karlyn Kohrs
Campbell nel suo libro Man Cannot Speak
for Her: A Critical Study of Early Feminist Rhetoric [2], e dall’invitational rhetoric, teorizzata dalle
studiose Sonja Foss e Cindy Griffin
nella loro opera Transforming Rhetoric
Through Feminist Reconstruction: A Response to the Gender Diversity Perspective [3].
L’espressione
feminine style si riferisce per
Campbell «to the discourse that is personal in
tone, relies on personal experience and anecdotes, tends to be inductively, and
invites audience partecipation» [4].
Le radici di questo stile comunicativo
affonderebbero nei discorsi politici di fine Ottocento-inizio Novecento nei
quali le donne dovevano giustificare la propria posizione di oratore politico,
strutturare gli argomenti in maniera induttiva, usare un’esperienza personale
appropriata, riconoscere l’autorità maschile e mantenere i propri tradizionali
ruoli femminili.
L’invitational
rhetoric individuata da Foss e Griffin è invece espressione di un nuovo tipo
di retorica e in particolare «constitutes
an invitation to the audience to enter the rhetoric’s world and to see it as the
rhetor does» [5].
Questa ‘retorica dell’invito’ sarebbe un’alternativa
alla retorica tradizionale da sempre caratterizzata da una
patriarchal bias; «patriarchy», sostengono le
studiose, «is a system of power relations that
privileges the communicative practices of white, eterosexual, and male
rhetors and devalues and marginalizes
those who do not embody these qualities» [6].
Questa influenza patriarcale porta il retore ad approcciare la propria audience
«with a conscious intent to change others» [7] mentre l’invitational rhetoric invita il
proprio uditorio a guardare la questione attraverso gli occhi dell’oratore.
Un altro elemento caratterizzante della retorica
femminile, secondo alcuni studiosi, è infine rappresentato dalle
gendered issues ovvero le ‘tematiche
di genere’ che sarebbero le politiche del
welfare, la difesa della famiglia e dei diritti delle donne, l’ambiente. Tra
le gendered issues vi è in particolare
il riferimento alla famiglia e indirettamente ai suoi membri, come il
tradizionale mother-role associato
alla donna e il child che spesso
assume il valore simbolico del futuro e della rinascita di una nazione.
Madeleine
Albright
e la “diplomazia delle spille” [8]
Un argomento che può essere considerato come parte
integrante di una retorica di genere nel discorso politico di Madeleine Albright
riguarda l’importanza cruciale che per lei le donne possono e devono avere a
livello di leadership politica e di relazioni internazionali.
I concetti base a sostegno del processo di
affermazione delle donne in tutto il mondo utilizzati nella retorica della
Albright sono principalmente quelli di opportunità e di uguaglianza.
L’opportunità
in particolare per il Segretario «is about
enabling women, whether they are standing barefoot on a dirt floor, or bumping
against a glass ceiling [9] - to exercise in full their energy and intelligence, wisdom and skill» [10].
L’attuazione del processo di
empowerment delle donne, ovvero il loro coinvolgimento nei processi decisionali e
manageriali anche ad alti livelli politici o finanziari, è un’altra
argomentazione della retorica di gender
usata da Albright.
Nel discorso tenuto al
Women’s Foreign Policy Group Luncheon [11], il Segretario si
rivolge in maniera diretta alle donne presenti in sala affermando che proprio in
queste ultime vede delle potenziali leader del futuro:
«[…] as I look around this room, I
see many who are or who could be outstanding foreign policy leaders for our
country. I would not be surprised if one or more of you someday serve as
Secretary of State, or National Security Adviser or -- yes, the time will soon
come -- Commander in Chief of the United States».
Altri due aspetti della comunicazione di Albright
che, a mio parere, possono essere definiti caratterizzanti di una retorica
femminile sono l’uso del campo semantico
della famiglia e la funzione
emotiva del linguaggio che il Segretario esprime puntando sulla sfera affettiva.
Si osservi il seguente esempio tratto dal
Remark on the Israeli-Palestinian Peace Process tenutosi il 6 Agosto 1997 a Washington:
«The urgency of that goal was underlined one week ago, when bombs exploded in the Mahane
Yehuda market in Jerusalem,
killing 13 Israelis - one of whom was also an American citizen - and wounding
168. Behind those numbers are the faces of mothers, fathers, grandparents and
children killed not for anything they had done, but simply for who and where
they were» [12].
Con queste parole Albright spezza la formalità e
l’impersonalità dell’inizio del suo discorso, nel quale si parlava dei recenti
successi della diplomazia americana, per conferire un tono più drammatico al
remark. Nella descrizione
dell’attentato al mercato di Gerusalemme, infatti, il Segretario non vede solo
numeri, non cita in maniera analitica e fredda le cifre dei feriti o dei morti
durante quelle bombe esplose come avrebbe fatto probabilmente un Generale, ma
parla delle «faces of mothers, fathers,
grandparents and children killed not for anything they had done, but simply for
who and where they were». Parlando quindi dei membri di una famiglia, madri,
padri, bambini e nonni dà un volto alle vittime ed enfatizza il discorso; l’idea
di famiglia e in particolare del focolare domestico, associata concettualmente
al mondo della donna, è quindi inserita in un contesto di guerra per indicare
come quest’ultima possa turbare l’intera esistenza della comunità.
Il sentimento di condivisione che Albright vuole
instillare nel suo uditorio rappresenta poi la seconda caratteristica della
retorica femminile in quanto la sfera degli affetti è da sempre ricondotta alla
donna: «Americans share each of these
feelings and reactions.
Our thoughts
are with those who knew and loved the
persons killed or injured last week» [13].
In questo esempio il Segretario vuole esprimere il
sentimento di solidarietà e di coinvolgimento di tutti gli americani che
condividono «feelings and reactions»
dei popoli coinvolti nelle stragi; cerca così di
creare un legame affettivo virtuale tra il popolo americano e le sofferenze di
coloro che «loved the persons killed or
injured last week».
Un altro aspetto della comunicazione politica di
Madeleine Albright riguarda infine l’importanza strategica rivestita
dall’estetica. Con un look originale e deciso, il Segretario inaugura infatti la
cosiddetta “diplomazia delle spille”, espressione che si riferisce al suo
particolare uso di spille e gioielli per inviare messaggi in codice.
Proprio a questo curioso argomento il giornalista
Paolo Valentino ha dedicato un articolo del Corriere della Sera [14]:
«Read my pins», ‘leggete le mie spille’, era la
battuta ricorrente lanciata da Albright a giornalisti e telecamere che la
aspettavano fuori dalla sala del Consiglio di Sicurezza. […] I gioielli appuntati sul tailleur
[erano] messaggi, segnali in codice sullo stato d’animo dell’Amministrazione,
commenti semi-ufficiali sulle posizioni dell’interlocutore. […] Per segnalare a Vladimir Putin cosa pensasse del suo rifiuto di riconoscere gli orrori
commessi dai russi in Cecenia ad esempio, Albright si appuntò le tre scimmiette,
non vedo-non sento-non parlo. […]
Quando i negoziati languivano, lei aveva pronto un arsenale di tartarughe,
gamberi e granchi. […]
Il progresso in una trattativa lo
festeggiava con gioielli a forma di farfalle o fiori colorati. E per
commemorare le 212 vittime degli attentati in Tanzania e Kenya, nel 1998,
Albright si appuntò un angelo d’oro».
Condoleezza Rice:
la retorica della
girl from Birmingham
La retorica dell’opportunità, intesa soprattutto
come possibilità di realizzazione del sé (e delle donne in particolare) già
individuata in Madeleine Albright, ritorna nel discorso politico di Condoleezza
Rice. Nel Remark at the 2008 Glamour Women
of the Year Award at New York City [15], ad esempio, il Segretario dipinge
l’America come un grande Paese democratico che offre non solo alle donne, ma
anche alle minoranze etniche, l’opportunità di crescere e di esprimersi.
L’uso dell’esperienza personale è uno strumento
retorico molto efficace in questo discorso; Rice usa infatti la prima persona
singolare e si rivolge direttamente «to
the young women in the balcony» esaltando l’importanza della passione,
considerata come elemento di unione delle donne presenti al meeting.
Il Segretario di Stato racconta poi che inizialmente
pensava che la sua passione fosse il pianoforte, poiché amava la musica, ma che
in seguito, grazie alle affascinanti lezioni di Joseph Korbel (padre di
Madeleine Albright) sull’Unione Sovietica, capì che il suo interesse più grande
era rivolto ad altro, ovvero alla politica internazionale.
Sfruttando la sua vicenda personale, il Segretario
Rice esalta così l’America, patria che ama «because of its sense of possibility»
e che ha offerto a una «little girl from Birmingham» [16] la possibilità di realizzare la sua più grande
passione, ovvero mettere l’amore per la politica internazionale al servizio dei
cittadini diventando Segretario di Stato come emerge nel seguente esempio:
«I’ve
had the chance to represent this great country around the world, and I love this
country. I love it because of its sense of possibility. I love it because
nothing is ever impossible. I love it because we overcome old wounds, as we did
on Tuesday, to elect the first African American president of the United States. And for a little girl
from Birmingham,
that’s a special thing» [17].
Un altro aspetto del linguaggio di Condoleezza Rice
che può essere considerato caratteristico di una retorica femminile è l’uso
della già citata invitational rhetoric.
Il modo di approcciarsi al pubblico e lo stile
comunicativo di Rice suggeriscono infatti un tipo di retorica che non vuole solo
persuadere per convincere, bensì invitare l’uditorio a condividere realmente una
tesi.
Un esempio di questa retorica dell’invito si trova
nel discorso Transformational Diplomacy
che Condoleezza Rice pronunciò alla Georgetown University nel gennaio 2006; in
questo remark il Segretario affronta
il tema della diversità, elemento che considera come un punto di forza degli
Stati Uniti d’America; si tratta di un argomento forte che la riguarda da
vicino, considerando che il Segretario Rice fu sempre consapevole della sua
“diversità”, ovvero il suo essere una donna di colore nell’American segregated South, ovvero l’Alabama, dove visse in prima persona il tremendo
periodo della discriminazione razziale. Il Segretario esorta quindi il suo
uditorio, costituito dai membri dei corpi diplomatici, ma anche dai professori
della School of Foreign Service della Georgetown University a riflettere sul
significato di ‘diversità’, portandolo indirettamente a considerare la questione
dal suo punto di vista:
«It cannot be that the last three Secretaries of State -- the daughter of European immigrants,
the son of Jamaican immigrants and a daughter of the American segregated South
-- would be more diverse than the Foreign Service with which they work. And so I
want to make a special appeal to each and every one of you» [18].
Rice si considera insieme a «the daughter of European immigrants» ovvero Madeleine Albright, e al «son of Jamaican immigrants», ovvero
Colin Powell, un esempio vincente di quella diversità che deriva dalla varietà
di etnie presenti in America e che per lei dovrebbe caratterizzare anche il
Dipartimento di Stato; tutti e tre i Segretari sono la testimonianza concreta
non solo della grande ricchezza multietnica degli Stati Uniti, ma soprattutto
delle grandi opportunità che l’America può offrire a tutti coloro che sposano i
suoi ideali a prescindere dalle proprie origini.
Hillary
Rodham Clinton e la retorica femminista
Il background femminista di Hillary Rodham Clinton e
la sua appartenenza alla Chiesa Metodista, la prima in età moderna ad attribuire
un ruolo di primo piano alle donne insieme ai quaccheri, hanno certamente
influenzato la comunicazione politica dell’ex first lady.
Nei discorsi della Clinton, infatti, l’affermazione
dei diritti delle donne si interseca col suo credo religioso e con l’argomento
secondo il quale solo i democratici difenderebbero veramente i valori della
famiglia a differenza dei loro avversari repubblicani.
L’argomentazione costante nei discorsi del
Segretario Clinton è poi la considerazione che il coinvolgimento delle donne
nello sviluppo di un Paese sia un’arma vincente e indispensabile, come si
osserva nel seguente esempio:
«The third key is empowering women and girls.
[…] unfortunately, in too many places in our
hemisphere, women are denied their rights and opportunities. Now, they may have
them on the law books. They may be legally entitled, but they are not actually
being able to access them. A growing proportion of the poor is made up of women
and their children. And as long half the population is left behind, our
hemisphere will be left behind too» [19].
In questo discorso, tratto dal
remark Policy Address On Opportunity In The Americas, il
Segretario sottolinea come in molte parti del nostro emisfero a molte donne
siano ancora negati diritti e opportunità. La ripetizione del pronome e del
verbo modale nelle prime due frasi al positivo «they may have them,
They may be» e nella terza al negativo «but they are not» è molto significativo, poiché si enfatizza quello che le donne
dovrebbero avere secondo la legge, quello che dovrebbero essere legittimate a
fare e quello che invece nella realtà non possono fare, poiché non hanno accesso
a questi diritti.
Un esempio concreto del ruolo strategico svolto,
nella ricostruzione di un Paese, dalle donne si trova invece nel discorso al
Day of the Women of
the Americas [20] nel quale
la Clinton esalta la tenacia e la determinazione
delle donne haitiane che furono di vitale importanza per
la Haiti’s rebirth.
«Efforts to empower women across the
Americas
have gained new urgency in the wake of the devastating earthquake in Haiti, which left so many homeless
and in need. In the first hours after the disaster, Haitian women played a vital
role in distributing emergency assistance and securing lifelines for shattered
communities. In the difficult days of rebuilding that lie ahead, their
determination and hard work will be crucial to
Haiti’s rebirth».
Da un punto di vista prettamente retorico, il
linguaggio di Hillary Rhodam Clinton presenta molte caratteristiche affini al
feminine style di cui parla Campbell,
come il tono personale del discorso, l’uso frequente dell’esperienza personale e
il riferimento continuo alla famiglia e soprattutto al
child.
Si osservino i seguenti esempi tratti dal discorso
sulla politica delle opportunità nelle Americhe [21].
«When I think about what I hope for my own
daughter, it is what I hope for every child – the opportunity to fulfill his or
her God-given potential. And that can only come when societies support the
efforts of families and faith communities to create a structure of opportunity.
That structure of opportunity must be at the core of a common vision
[…]».
«When I visited after the earthquake, I watched as people from all over our hemisphere –
indeed, all over the world, not just governments, but church groups and NGOs and
so many others – came to give help to people in need. There was no talk of
ideology or division. There was no arguments about the history or on the past.
There was just pragmatism and unity around a shared purpose».
Nel primo esempio, dopo aver parlato di incontri
diplomatici formali che avevano lo scopo di migliorare la collaborazione tra
l’America del Nord e quella del Sud nel perseguire lo sviluppo del Paese,
la Clinton sposta volutamente l’attenzione
dell’audience sul piano personale affermando che quando pensa a ciò che desidera
per sua figlia, quello a cui pensa è la stessa cosa che desidererebbe per
qualsiasi bambino, ovvero l’opportunità di realizzare il suo potenziale donato
da Dio. È una mossa retorica molto efficace; in questo modo Hillary Clinton si
spoglia delle sue vesti di Segretario di Stato per indossare i panni di una
madre in apprensione per le sorti future della propria figlia; mostra il suo
lato umano e personale per apparire così più vicina ai problemi della
disoccupazione dell’Ecuador. Anche il riferimento alle «families», che insieme alle «faith communities» devono sforzarsi
di creare una struttura di opportunità nella società, rientra nella
rhetoric of gender.
Nel secondo esempio, invece, Clinton sfrutta la
propria esperienza ad Haiti dopo il terribile terremoto che aveva devastato il
Paese per dimostrare «how strong we [Americas] are when we come together»; il momento di solidarietà e di grande umanità dimostrato
verso il popolo haitiano da persone provenienti da tutte le parti del mondo «not just governments, but church groups
and NGOs and so many others» è utilizzato come dimostrazione di quanto
l’unione possa fare la forza. In quella situazione, afferma Clinton, non c’erano
differenze di ideologia o divisioni, non c’erano argomentazioni sulla storia o
sul passato, c’erano solo «pragmatism and unity around a shared purpose», la stessa cosa che dovrebbe tenere unite
le Americhe.
Il Segretario sfrutta infine l’immagine della
famiglia e del bambino in maniera ricorrente nei suoi discorsi:
«And let us look at
every child whom we know and especially whom we love and think about what the world will
be, because in this interconnected world, every child is going to have to play
his or her part in ensuring that humanity continues to progress.
Otherwise, we don’t know what the future holds».
Quest’ultimo esempio è tratto dal sopraccitato
Policy Address On Opportunity in Americas [22] e rappresenta la
parte conclusiva del discorso. Il Segretario Clinton invita il proprio uditorio
a «look at every child whom we know and especially
whom we love», quando si riflette su come migliorare il mondo; facendo
riferimento al bambino e al posto che egli occuperà nella società, fa leva
sull’emotività del suo uditorio esprimendo ancora una volta il suo ruolo di
donna-madre.
Conclusioni
Il mio studio ha messo in luce aspetti del
linguaggio politico dei tre Segretari di Stato degli Stati Uniti d’America
Madeleine Albright, Condoleezza Rice e Hillary Rhodam Clinton che, mostrando
somiglianze con il feminine style
(Campbell) e con l’invitational rhetoric
(Foss e Griffin), possono essere considerati come caratterizzanti di una
retorica di genere.
Tra gli elementi peculiari di questa
rhetoric of gender ho individuato in particolare: l’affermazione dell’importanza del
processo di empowerment delle donne in
tutti i livelli di leadership, l’uso dell’esperienza personale e di espedienti
narrativi mirati a suscitare una reazione emotiva nell’audience, e il
riferimento al campo semantico della famiglia e degli affetti che rimanda
concettualmente al ruolo di donna-madre.
I concetti base di
opportunity e di
equity sono stati principalmente
utilizzati per l’affermazione dei diritti delle donne anche se con approcci
diversi: Hillary Rhodam Clinton ha enfatizzato ad esempio l’importanza del
God-given potential dando
un’interpretazione religiosa di opportunità; Condoleezza Rice attraverso la
propria esperienza personale ha considerato invece l’opportunity come una possibilità che deve essere garantita da tutti gli Stati
democratici come quella offertale dall’America. L’uso dell’esperienza personale
è stato più frequente in Rice e in Clinton, le quali hanno puntato a
impressionare l’audience.
L’invitational
rhetoric ha caratterizzato il remark
Trasformational Diplomacy di
Condoleezza Rice, nel quale il discorso sull’opportunità si è intrecciato alla
sua esperienza personale portando il pubblico a osservare la questione
attraverso i suoi occhi.
Il riferimento alla famiglia e in particolare ai
bambini quando si parla delle prospettive del futuro di una nazione, infine, è
utilizzato spesso da Albright e Clinton.
Nonostante l’individuazione di queste
caratteristiche che possono essere ricondotte a una retorica femminile, è
opportuno però riconoscere che il linguaggio politico, e il linguaggio in
generale, non può essere classificato in maniera rigida ora come femminile ora
come maschile; elementi del feminine style
e del manly style possono infatti
coesistere in una commistione di generi.
L’idea di una retorica femminile in senso
totalizzante appare dunque riduttiva; a mio parere, non esiste una retorica
femminile contrapposta a una maschile; esistono semplicemente delle
caratteristiche linguistiche e retoriche che possono essere più o meno frequenti
nei discorsi delle donne o degli uomini. Questo perché ogni discorso politico è
il prodotto di un insieme di conoscenze e di abilità comunicative che non
possono prescindere dalla propria esperienza personale e quindi dall’identità
dell’oratore/oratrice. In questa prospettiva, il ruolo del
gender nella comunicazione politica può comunque rivelarsi uno spunto interessante sia
per l’analisi linguistica del discorso che per lo studio degli stili del
linguaggio nel campo della politica.
Bibliografia
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“Il libro: Madeleine
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della Sera, 7 ottobre, 2009.
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D.C.
Remarks at the International Women's Forum's Hall of Fame Award Gala on the
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Remarks at Women’s Foreign Policy Group Luncheon,
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2000.
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School of Foreign Service, Washington D.C., January 18, 2006.
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by the United States Secretary of State Condoleezza Rice
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Hillary Rodham Clinton,
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Hillary Rodham Clinton,
Remarks Policy Address On Opportunity In The Americas,
El Centro Cultural Metropolitano, Quito, Ecuador,
June 8, 2010.
Sitografia
http://www.corriere.it/
http://www.state.gov/
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