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Lost in… NGOish!

Il complesso linguaggio delle organizzazioni non governative (ONG) internazionali.

 
     
 

Daniela Giovannetti - Traduttrice freelance

 
     
     
 

Gli esperti lo conoscono molto bene, ma per “i non addetti ai lavori” è arduo comprendere termini quali stakeholder o LF (Logical Framework). Tutto il gergo comunemente usato in lingua inglese dalle organizzazioni non governative (NGO - Non Governmental Organization) viene definito con il termine NGOish, attribuendovi così anche una accezione negativa (si ricorda che le parole terminanti in -ish in inglese spesso definiscono un concetto non positivo: si pensi ad esempio a childish che significa ‘infantile’, ma in senso negativo), quasi dispregiativa, soprattutto perché si tratta di un gergo molto “elitario” e incomprensibile a molti.

Anche una autorevole rivista quale The Economist [1] ha dedicato un intero articolo alla questione scatenando un fervido dibattito tra i lettori [2].

Molto interessante è anche l’articolo pubblicato su The Guardian da Trina Wallace [3], un’esperta giornalista di linguaggio mediatico in campo non governativo, la quale asserisce che è molto importante usare un linguaggio semplice per poter meglio arrivare ai destinatari che non sono solo quelli che hanno veramente bisogno dei fondi, ma soprattutto quelli che fanno le donazioni.

Ogni ONG ha una mission da raggiungere, ovvero un compito ben preciso. Alcune ONG hanno una mission umanitaria, come Action Aid [4] o Save the Children [5] che si occupano di adozioni a distanza e miglioramento delle condizioni di vita nei Paesi in via di sviluppo; altre hanno una mission ambientale, come ad esempio il WWF [6], altre ancora di tipo culturale, come ad esempio il FAI [7], per la tutela dei beni artistici italiani, e così via.

Tutte queste organizzazioni, al momento della presentazione di un progetto specifico e mirato al raggiungimento della loro mission, spesso lavorano su un Logical Framework (LF), un ‘quadro logico’ che permette di identificare e analizzare quei problemi che potrebbero bloccare il progetto, e quindi organizzare un piano completo di azioni volto al loro superamento.

All’interno di questo quadro vengono individuati gli stakeholder: Questo termine, che non trova un vero e proprio singolo corrispondente in italiano, significa “tutti coloro che, direttamente o indirettamente, sono interessati dall’intervento”. Tra questi si distinguono gli stakeholder primari, ovvero coloro che sono raggiunti direttamente dal progetto, e gli stakeholder secondari che sono coinvolti indirettamente dagli effetti del progetto stesso. Ci sono anche i cosiddetti stakeholder chiave: tutti coloro che possono influenzare positivamente un progetto e che devono essere presi in considerazione per evitare che il progetto stesso fallisca.

Il progetto viene monitorato dal PCM (Project Cycle Management): il ciclo del progetto, composto da cinque fasi [8], è l’insieme delle azioni intese a realizzare attività collegate a un progetto e descrive la sequenza circolare composta dalle fasi che lo configurano.

Sempre all’interno del progetto troviamo gli OVI (Objective Verifiable Indicators): indicatori oggettivamente verificabili che sono evidenziati all’interno del LF per attestare la fattibilità o meno del progetto.

Ogni progetto punta all’empowerment, termine diffuso anche sulla nostra stampa, che potrebbe essere tradotto con ‘potenziamento’, ossia il miglioramento di una determinata situazione, e non dovrebbe mai perdere la relevance, ossia la ‘pertinenza’ nei contesti d’azione, e l’effectiveness ovvero l’‘efficacia’ delle azioni condotte.

Il progetto viene valutato sempre secondo l’assessment, il processo di identificazione e approfondimento di un problema per pianificare una serie di azioni che possano contribuire alla sua risoluzione, e deve sempre tener conto della casuality che esamina i fattori e gli eventi che hanno condizionato direttamente i risultati ottenuti.

Ciascun progetto ha una sua capacity-building [9], termine che non trova un corrispettivo in italiano, ma che indica la capacità di attuare, di fare, e che determina quindi l’impatto che avrà sui beneficiari diretti e indiretti.

Spesso le ONG usano l’advocacy, ovvero si fanno promotrici e patrocinano una causa, generando così la consapevolezza in coloro che vogliono partecipare alla raccolta fondi correlata a quel determinato progetto.

A volte riescono a fare lobby, ovvero pressione sui governi o sui gruppi di potere. Basti pensare a Greenpeace [10] e alla sua recente vittoria contro le baleniere giapponesi. Non solo si è agito sul piano politico e sociale, pubblicizzando campagne di sensibilizzazione e raccogliendo firme, ma si è attivata concretamente un’azione di sabotaggio nei confronti delle baleniere giapponesi, impedendo loro di uccidere altri poveri animali.

Entra in scena quindi il cosiddetto fund raising, ovvero la ‘raccolta fondi’, vitale per la riuscita di un progetto, che viene attuato sia attraverso l’invio di messaggi di testo sia mediante i fund raiser, spesso giovani volontari che, face-to-face o telefonicamente, cercano di convincere le persone a fare donazioni.

La transparency (‘trasparenza’) è fondamentale per ottenere i fondi e prevede spesso una pubblicazione periodica dei risultati raggiunti in quel determinato ambito per fare in modo che i sostenitori continuino a contribuire alla causa.

Tutto il mondo del non-profit viene racchiuso in un termine ripreso dall’inglese e italianizzato in third sector (‘terzo settore’). Con questo termine, usato per la prima volta in Italia negli anni Ottanta, si indicano associazioni di volontariato, cooperative sociali, organizzazioni non governative che accomunano soggetti privati operanti per il bene collettivo. Viene denominato terzo settore in quanto diverso dallo Stato e dal Mercato.

Altro termine molto usato nelle ONG è il gender mainstreaming, un principio che consiste nell’adeguata considerazione delle differenze esistenti tra le situazioni di vita, le esigenze e gli interessi rispettivamente degli uomini e delle donne, in tutti i programmi e gli interventi economici e sociali.

Il termine gender indica l’insieme di ruoli, aspettative e convenzioni costruiti intorno all’identità maschile e femminile. Molto interessante a questo proposito il rapporto di ricerca di Action Aid, “La dimensione di genere nella cooperazione allo sviluppo” [11], nel quale a partire dall’indice si possono trovare vari termini citati in questo articolo tra cui empowerment e accountability.

Alla luce dei termini qui esaminati, si può comprendere perché il mondo delle ONG abbia così tanto bisogno di terminologie specifiche: permette di poter descrivere in poche parole concetti altrimenti troppo lunghi da spiegare, ma si capisce anche quanto possa essere difficile per i non addetti ai lavori comprendere questo complicato linguaggio.

Navigando in Internet si trovano molti dibattiti tra chi sostiene la necessità del gergo e chi invece ne condanna la difficoltà di comprensione.

Certamente nei prossimi anni si assisterà a un’ulteriore evoluzione di questo linguaggio settoriale e sarà allora interessante vedere quante persone lo comprenderanno e quante lo troveranno ancora difficile. La diffusione di Internet potrà forse portare a una maggiore circolazione di questi termini e conseguentemente a una maggiore familiarità da parte degli utenti.

 

 

Bibliografia

Distante, A., English Throughout the International Relations, Security and Defence Framework, Europa 2010, 2007.

Wallace, T., “Here's to a jargon-free voluntary sector in 2011”, The Guardian, 31st January 2011.

“The jargon of aid: Anywhere here speak NGOish?”, The Economist, 27th January 2011.

“Educazione alla Pace: Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Politiche Europee”, dispense Master edizione 2006.

“Inglese per le Relazioni Internazionali, la Sicurezza e la Difesa”, dispense Corso edizione 2011.

 

 

Sitografia

http://www.actionaid.it/

http://www.bassac.org.uk/

http://www.economist.com/

http://www.en.wikipedia.org/

http://www.fondoambiente.it/

http://www.greenpeace.it/

http://www.guardian.co.uk/

http://www.marketingsociale.net/

http://www.oxfam.org/

http://www.savethechildren.it/

http://www.utlcairo.org/

http://www.volint.it/

http://www.wwf.it/

 
     
 
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[1] “The jargon of aid - Anywhere here speak NGOish?”, The Economist, 27th January 2011.

[2] Cfr. http://www.economist.com/node/18014068/comments#comments

[3] Wallace, T., “Here's to a jargon-free voluntary sector in 2011”, The Guardian, 31st January 2011, http://www.guardian.co.uk/voluntary-sector-network/2011/jan/31/jargon-free-plain-english

[4] Fondata in Italia nel 1989, con sede a Milano, ha vari obiettivi: diritto al cibo, rispetto dei diritti umani, diritti delle donne, prevenzione AIDS, istruzione, aiuti nelle emergenze e governance. Supporta l’adozione a distanza.

[5] Nasce nel 1919 e opera in 120 Paesi nel mondo. Attua programmi per la salute, aiuti nelle emergenze. Istruzione e lotta contro gli abusi infantili e lo sfruttamento. In Italia inizia a essere attiva nel 1999.

[6] Nasce nel 1961 e ad oggi conta 5 milioni di iscritti. In Italia nasce nel 1966. Opera attraverso sedi nazionali e “Uffici di Programma” che si adoperano per concretizzare progetti specifici a livello mondiale.

[7] Fondato nel 1975, ha come mission la salvaguardia del patrimonio culturale, storico, artistico e naturalistico italiano, restaurando e salvando vari siti di interesse artistico e naturalistico.

[8] Tali cinque fasi sono: programmazione indicativa, identificazione, formulazione, finanziamento e realizzazione.

[9] Lemma presente nel libro English Throughout the International Relations, Security and Defence Framework, di Antonella Distante, Europa 2010, ediz. 2007, pag. 81.

[10] Fondata nel 1971, conta 2,8 milioni di soci in tutto il mondo e uffici nazionali e regionali in 41 Paesi. Ha come mission la salvaguardia dell’ambiente, attuando azioni anche eclatanti per raggiungere l’obiettivo.

[11] http://www.actionaid.it/it/cosa_facciamo/temi/diritti_donne/Donne_e_Genere805544.html

 
   
 
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