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Traduzione, terminologia e lessicografia: un trio indissolubile?

 
 

Il Dott. Francesco Urzì, traduttore del Parlamento Europeo, risponde su alcuni punti chiave e ci presenta la sua preziosa opera, il Dizionario delle Combinazioni Lessicali

 
     
 

Intervista di Antonella Distante - Direttore della Rivista

 
     
     

Nel panorama della traduzione e in particolare della lessicografia, ho avuto l’opportunità e il privilegio di incontrare il Dott. Urzì, traduttore dal 1982 presso il Parlamento Europeo ove si occupa anche di terminologia e di traduzione assistita da computer, nonché autore del Dizionario delle Combinazioni Lessicali. Tale opera, edita dalla casa editrice Convivium, è stata pubblicata nel 2009 e presentata in Italia in varie sedi accademiche e di ricerca nel corso del 2010. Si tratta di uno strumento molto utile, per certi versi indispensabile, per traduttori e studiosi della lingua italiana, ma anche per chi impiega la lingua scritta per operare nel proprio settore professionale e per chi, ancora nelle sedi scolastiche o universitarie, si prepara ad affrontare le sfide del mondo del lavoro. Chi fosse interessato può reperire ulteriori informazioni sul Dizionario direttamente sul sito www.combinazioni-lessicali.com, dove è possibile anche consultare un ampio estratto dell’opera.

L’idea di porre alcuni quesiti a un esperto dalla lunga e prestigiosa carriera nasce con lo scopo precipuo di condividere alcuni utili spunti di riflessione nell’ambito della traduzione, della terminologia, della lessicografia, e non ultimo di raccogliere alcune indicazioni, proprio dall’autore stesso, su come utilizzare concretamente il suo Dizionario come strumento di consultazione e di ricerca. Infine, vorrei concludere questa intervista con un quesito riguardante le prossime sfide della traduzione nella compagine europea. Nel ringraziare sentitamente il Dott. Urzì per la sua cortese disponibilità nell’averci offerto queste utili e interessanti considerazioni, procedo con le domande.

 

Dott. Urzì, potrebbe brevemente fornirci un Suo giudizio sulla relazione indissolubile tra terminologia e traduzione?

Potremmo dire che, se non vi fosse bisogno di terminologia, se non esistessero i “termini”, si potrebbe tradurre a velocità doppia. Un traduttore professionista sa bene come trasferire con rapidità la struttura morfo-sintattica del Testo di Partenza (TP) al Testo di Arrivo (TA), ma la sua produttività finale sarà decisa proprio dalle tecniche sviluppate per risolvere i problemi terminologici e dal modo in cui si serve degli strumenti di consultazione disponibili.

Si può anche dire che la “qualità” della traduzione trova proprio nell’accuratezza terminologica un sicuro parametro di giudizio.

 

Nel novero delle discipline che permettono un più attento e rigoroso lavoro di traduzione, come si colloca la lessicografia e in che misura è possibile acquisire familiarità in questo campo?

Per quanto riguarda la lessicografia monolingue, bisogna qui sfatare il mito del dizionario tradizionale come compagno indissolubile di chi scrive per professione. Il dizionario classico può naturalmente esserci di grande aiuto per dipanare alcuni dubbi linguistici, ma è stato pensato soprattutto per chi usa la lingua passivamente, non per chi produce testi: scrittori, traduttori, giornalisti o redattori occasionali. È curioso che nella scuola italiana, l’acquisto del “dizionario di italiano” da parte dello studente sia praticamente obbligatorio e che non si adotti anche (o invece) un dizionario “analogico”, ossia quello che permetterebbe di trovare parole per analogia, sinonimia, affinità, attinenza. Ad esempio, di una “nave” si possono subito identificare le varie parti, conoscere le azioni e le persone che tipicamente hanno a che fare con la nave e così via. Per quanto riguarda invece la lessicografia bilingue, occorre che il traduttore sappia scegliere bene i propri strumenti. Il difetto più comune dei dizionari bilingui è che essi forniscono sempre la “traduzione” (intesa come il significato della parola cercata), ma raramente il “traducente” ossia la parola che poi occorre effettivamente utilizzare in un dato contesto. I buoni dizionari comunque non mancano e alcuni sono (finalmente) del tutto innovativi, come Il Nuovo Dizionario di Tedesco di Luisa Giacoma e Susanne Kolb (Zanichelli, 2009), che propone i traducenti classificandoli secondo le parole con cui il vocabolo cercato tipicamente si combina (collocazioni). Per un utente non è facile orientarsi nella selva di dizionari, monolingui e bilingui, oggi disponibili in commercio. Il miglior sistema è andare in libreria e “testare” il dizionario di interesse dopo aver preliminarmente raccolto una decina di parole di difficile traduzione (per i dizionari bilingui) o di difficile definizione (per i dizionari monolingui). Anche la lettura dell’introduzione del dizionario può dare utili indicazioni sulla sua impostazione teorica, con la non trascurabile ricaduta di rendere più agevole e rapida la consultazione.

 

Alla stregua di queste indicazioni, possiamo allora confermare il seguente assunto: traduzione, terminologia e lessicografia sono un trio indissolubile?

Sono un trio indissolubile nel senso che la traduzione trova nella lessicografia e nella terminologia i due settori portanti principali. Con specifico riferimento alla lessicografia monolingue, direi che la “triade” ideale del traduttore è costituita dal dizionario di collocazioni, dal dizionario analogico e dal dizionario tradizionale. Da affiancare naturalmente a un buon dizionario bilingue.

 

Potrebbe dispensarci alcuni consigli per l’utilizzo del Suo Dizionario delle Combinazioni Lessicali?

Il mio Dizionario delle Combinazioni Lessicali (che altro non è che un dizionario di collocazioni) è nato dalla mia pratica di traduttore per colmare una lacuna lessicografica (lacuna da tempo colmata nella lessicografia inglese, da sempre orientata verso le esigenze del learner). Il suo utilizzo è intuitivo, perché parte sempre da una “base” (di solito un nome) riproducendo sul piano lessicografico il normale percorso di ricerca di una parola, ad esempio, dal nome al verbo (acquistare la cittadinanza) o dal nome all’aggettivo (comportarsi da perfetto gentiluomo). Inoltre, la sua struttura grafica e lo stesso ordinamento interno delle voci sono concepiti per velocizzare al massimo la consultazione.

 

Per chiudere questa nostra intervista, Le sarei molto grata se potesse darci una Sua opinione sulle prossime e più importanti sfide in tema di traduzione presso il Parlamento e altre sedi istituzionali europee.

Il fatto di avere un’Unione Europea che funziona con 23 lingue è già di per sé una sfida che è stata raccolta con successo. Il problema è semmai diventato la gestione di questo “multilinguismo”, soprattutto sul piano dei costi. Quello che si sta facendo è appaltare all’esterno quote crescenti di lavoro di traduzione e, sul piano interno, sfruttare al massimo il potenziale della “traduzione assistita da computer” (CAT) con il sistema “Euramis”. Questo sistema permette di conservare in un unico repository, in formato tmx e per coppie linguistiche, tutti i testi già tradotti, per poterli poi utilizzare successivamente in memorie di traduzione, creabili automaticamente per ogni nuovo testo da tradurre. È poi nato recentemente presso la Commissione Europea un progetto di traduzione automatica statistica (SMT) che rappresenta probabilmente, nonostante lo scetticismo dei più, la nuova frontiera della traduzione. La disponibilità di un corpus linguistico di dimensioni gigantesche come quello dell’Unione Europea permette di avere già, almeno per alcune combinazioni linguistiche, traduzioni automatiche per le quali i tempi di editing sono inferiori ai tempi necessari per una traduzione “umana”. Un altro problema dei testi comunitari (o “unionali” secondo un neologismo creato ad hoc proprio in questi mesi) è la qualità linguistica non sempre soddisfacente dei testi legislativi, sia originali che tradotti, che a volte causano problemi interpretativi negli Stati nazionali che devono applicarli. La Commissione Europea ha di recente lanciato la campagna “Scrivere meglio” per sensibilizzare gli autori alla necessità di una maggiore chiarezza e coesione testuale, ma a mio parere il problema affonda le sue radici nella particolare “cultura traduttiva” che contraddistingue i servizi linguistici dell’Unione Europea.

     
     
 
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